venerdì 28 febbraio 2020

Coronavirus: e vuoi che Nostradamus non lo avesse predetto?

Con il nuovo virus che impazza, e la rete che si è riscoperta virologa e infettivologa da un giorno all'altro, non potevamo farci mancare Nostradamus, il noto monaco che nelle sue quartine aveva previsto tutto, dall'11 Settembre al rigore dato alla Juve contro l'Atalanta nel gennaio del 2016, al trentaduesimo del secondo tempo sullo zero a zero.



Con la consapevolezza che nelle quartine di Nostradamus uno può leggerci di tutto, e con il rammarico dei tossici di tutto il mondo, che non si danno pace del fatto che a distanza di 5 secoli ancora non si è capito di cosa si facesse il vecchio monaco, vi propongo un gioco: quale fra queste quartine è originale, e si riferirebbe al Coronavirus, e quali invece le ho inventate io?

"E incoronato di morte il serpente giallo mieterà di vite le città, e le genti in nascondigli costretti aspettando la fine, li sciocchi scritti leggeranno"

“La grande peste nella città marittima non cesserà prima che morte sarà vendicata del giusto sangue per preso condannato innocente, della grande dama per simulato oltraggio”.

Di gran parlare faran le genti diventate dottori, del malefico drago invisibile e lombardi e veneti saran scacciati da negri e turchi, come la peste indicati.

Mute maschere bianche vagheranno in urbe, anelanti il magico liquido di trasparente muco, e i mercati soccomberanno al mostro turkmeno, e di pasta solo le penne lisce resteranno.

martedì 4 febbraio 2020

La curiosa storia di SN1987A

La prima (e finora unica) Supernova "vicina" nell'era scientifica


Questa immagine mostra come appariva il cielo fino al 22 febbraio 1987 nella Nebulosa della Tarantola, in direzione della Grande Nube di Magellano, una delle galassie satelliti della Via Lattea, visibile dall'emisfero sud.



Questa immagine mostra come appariva la stessa porzione di cielo il giorno dopo.



Chiaramente qualcosa era successo nel frattempo.

Questo qualcosa è l'esplosione di una stella, una Supernova, battezzata dagli astronomi con la sigla SN1987a. La stella che ha originato la Supernova era una gigante blu, distante circa 170000 anni luce dalla terra, e l'importanza di questo evento sta nel fatto che esso è tuttora l'esplosione di Supernova più vicina alla terra mai osservata in era moderna. Per trovarne un'altra ancora più vicina bisogna andare indietro fino al 1604, all'epoca di Keplero, quando una Supernova esplose nella nostra Via Lattea a circa 20000 anni luce dalla terra. La differenza è che quella volta non esisteva ancora neanche il telescopio, mentre nel 1987 c'era ciò che chiamiamo Scienza. Per la prima volta una Supernova "vicina" (ebbene sì, 170000 anni luce sono una distanza vicina su scala cosmica) poteva essere studiata con gli strumenti della scienza moderna. 

La Supernova osservata da Keplero, tuttavia, fu un fenomeno chiaramente visibile a occhio nudo per molti mesi, mentre SN1987a, dal punto di vista della semplice osservazione senza strumenti, fu decisamente sotto tono, soltanto modestamente visibile, considerando anche il fatto che essa si trova in una zona del cielo ricchissima di stelle e polveri. Tuttavia SN1987a ha una storia molto interessante, e alcuni suoi aspetti sono tutt'ora controversi e probabilmente poco noti al pubblico dei "cultori della materia", a cui si rivolge questo racconto. Io all'epoca ero laureato da poco, e stavo al Cern, e mi ricordo bene, a seguito di questo evento, alcuni seminari in cui la sala dell'auditorio era strapiena di fisici eccitati dal nuovo giocattolo messo a disposizione da Madre Natura.

Una Supernova è una stella che finisce la propria esistenza in modo catastrofico, con un'esplosione di energia spropositata, che proietta nello spazio le parti esterne della stella, e emette energia tanto da renderla luminosissima, spesso più luminosa dell'intero insieme di stelle che compone la galassia che la ospita. Questa esplosione, ci dicono gli astrofisici, oltre ad essere associata all'emissione di onde elettromagnetiche in molte regioni diverse dello spettro, implica anche emissione di neutrini e, in casi particolari, di onde gravitazionali.

SN1987a fu una Supernova di tipo II-a (fonte), ovvero una stella molto massiva la cui esplosione origina dal collasso del nucleo interno. La stella progenitrice, tale Sanduleak-69 202a, era una stella supergigante blu di massa stimata pari a circa 20 volte la massa del sole. In genere le Supernove di questo tipo hanno come progenitrici stelle supergiganti rosse (tipo Betelgeuse, una candidata futura Supernova che fa molto parlare di sé recentemente), ma questa, inaspettatamente, faceva eccezione. Il primo contributo di SN1987a alla scienza fu quello di riconsiderare che tipo di stelle possono trasformarsi in Supernove. Non solo le supergiganti rosse, quindi, ma anche quelle blu, che hanno una temperatura superficiale significativamente maggiore.

Prima di SN1987a, in tutte le Supernove osservate (nelle galassie distanti, considerato il loro numero, è un fenomeno relativamente frequente) era stata captata soltanto l'emissione di onde elettromagnetiche. Tipicamente queste stelle diventano luminosissime da zero a mille in pochi giorni, per poi spegnersi lentamente in un tempo che può durare anche molti mesi.

Ma veniamo alla cronistoria di quel 23 febbraio 1987, perché è una cronistoria interessante, non priva di sorprese, e per certi verso poco chiara.

La Supernova viene osservata otticamente, ovvero nella luce visibile, il 24 febbraio, in modo indipendente sia da osservatori in Cile che in Nuova Zelanda (fonte). Nel nostro emisfero non era visibile, restando sempre sotto l'orizzonte (quella volta non esistevano i terrapiattisti e nessuno propose spiegazioni speciali per questa cosa). Successivamente, analizzando alcune lastre fotografiche, ci si accorse che la stella stava già aumentando rapidamente in luminosità dal giorno precedente, il 23 febbraio.

Si suppone che l'esplosione di una Supernova, oltre a fare diventare la stella estremamente luminosa, sia associata all'emissione di neutrini, particelle subatomiche prive di carica elettrica, e di massa estremamente piccola (finora mai realmente misurata, in quanto troppo piccola per la sensibilità degli esperimenti), e che viaggiano quindi sostanzialmente alla velocità della luce. I neutrini emessi da una Supernova vengono prodotti durante il collasso del nucleo della stella (fonte), e si suppone che soltanto l'1% dell'energia emessa dalla stella vada in onde elettromagnetiche. Il restante 99% va in neutrini!

La produzione e l'emissione dei neutrini avviene durante il collasso del nucleo, e essendo i neutrini scarsamente interagenti con la materia, essi fuoriescono facilmente all'esterno della stella, e vengono emessi nello spazio in tutte le direzioni. Al contrario, la luce visibile viene emessa soltanto quando l'onda d'urto - che si origina all'interno del nucleo estremamente denso - si trasmette agli stati superficiali esterni della stella, che vengono in questo modo "accesi" diventando luminosissimi. 

Pertanto ci si aspetta che i neutrini vengano emessi prima della luce, e quindi siano anche visti prima di essa dagli eventuali scienziati di un pianeta distante. Essendo la velocità dei neutrini praticamente pari alla velocità della luce, ci si aspetta che l'intervallo temporale tra l'emissione dei neutrini e l'emissione della luce corrisponda all'intervallo temporale tra l'osservazione dei neutrini e l'osservazione della luce della Supernova, anche a grandi distanze. Questo è quindi in grado di fornire informazioni importanti sulla sequenza temporale di ciò che avviene all'interno di una Supernova quando la stella collassa.

Il 27 febbraio 1987 c'erano sulla terra diversi esperimenti funzionanti, pronti a captare neutrini di origine astrofisica, dal sole o dalle stelle (fonte). Prima di quel giorno, tuttavia, tutte le esplosioni di Supernove osservate nelle altre galassie erano troppo distanti per riuscire a vederne i neutrini emessi.


Il Fax inviato dall'Università della Pennsylvania all'esperimento Kamiokande, che informava dell'osservazione della Supernova con i telescopi, e lo invitava a cercare la Supernova anche fra i neutrini dei loro dati.

Alle 7 e 35 ora di Greenwich, l'esperimento Kamiokande, in Giappone, vide un "burst" di 12 neutrini all'interno dell'apparato sperimentale. Allo stesso momento l'esperimento IMB, situato in una miniera di sale 600 metri sotto terra negli Stati Uniti, osservò un fiotto di 8 neutrini. Tutto questo mentre alle 7 e 36 l'esperimento Baksan, nelle montagne del Caucaso dell'ex Unione Sovietica, osservava il segnale di altri 5 neutrini. L'intera sequenza di eventi durava in tutto una manciata di secondi. Quei neutrini, emessi all'interno di una stella 170 mila anni prima, mentre stava avvenendo una catastrofe inimmaginabile per ciò che noi chiamiamo normalmente "catastrofe" nei telegiornali, si erano manifestati simultaneamente in tre luoghi diversi della nostra terra, portandoci la testimonianza di quell'evento incredibile. Non so se riuscite a emozionarvi per questa cosa, ma a me appare meraviglioso. Se potessero parlare, quei neutrini, potrebbero a pieno diritto dire "ho visto cose che voi umani...!". Hanno attraversato il nucleo densissimo di una stella gigante, pesante 20 volte il sole, mentre questo crollava su se stesso in un tripudio di reazioni nucleari, e sono fuoriusciti dalla stella poco prima che questa si accendesse come un'immensa bomba atomica. Una cosa che riusciamo a immaginare solo con formule matematiche, ci si manifesta "real time" dopo 170000 anni con un fiotto di neutrini della durata di pochi secondi, a distanze siderali da dove tutto quanto è accaduto.

Il "burst" di neutrini provenienti dalla Supernova SN1987a, presente nei dati dell'esperimento Kamiokande

I neutrini hanno una bassissima capacità di interagire con la materia. Si chiama sezione d'urto, in gergo tecnico. Questo fa sì che per loro la materia sia praticamente trasparente. In particolare i neutrini emessi da una Supernova hanno, singolarmente, energie relativamente basse, simili come ordine di grandezza a quelle dei neutrini emessi dal sole, e la probabilità di interazione è tanto più bassa tanto minore è la loro energia. Quindi soltanto una piccola frazione dei neutrini che sono arrivati sulla terra ha rilasciato tracce del loro passaggio nella materia. Per circa una decina di secondi, il 23 Febbraio 1987, ciascun essere umano fu attraversato da qualcosa come 10000 miliardi di neutrini prodotti nell’esplosione della Supernova SN1987A, nonostante essa fosse a 170000 anni luce da noi. La quasi totalità di questi neutrini, proprio in virtù della loro scarsissima capacità di interagire, ci attraversò come se fossimo stati trasparenti, senza lasciare alcuna traccia. Ma non tutti. Su così tanti, qualcuno, scelto per caso dalle leggi della statistica, decise di fermarsi al nostro interno, reagendo con un nucleo del nostro corpo. Si può stimare che questo accadde a circa un milione di persone, nel cui corpo uno di questi neutrini diede origine a una minuscola reazione nucleare. Un bacio che la Supernova volle mandare loro in segreto, senza che essi se ne accorgessero minimamente. Una particella nata in una stella distante 170000 anni luce da noi, che decide di morire nel nostro corpo. Questa cosa per me è fantastica.

Ma la storia non finisce qui. Sotto il Monte Bianco, in un locale adiacente al tunnel che collega Italia e Francia, c'era in funzione all'epoca un esperimento che pure studiava neutrini provenienti dallo spazio. Sottoterra, sotto chilometri di roccia, per schermarsi dal fondo dei raggi cosmici, come si fa anche ai Laboratori del Gran Sasso, perché altrimenti in superficie il "rumore di fondo" dei raggi cosmici sarebbe troppo grande da impedire misure così sofisticate.

L'esperimento sotto il Monte Bianco si chiamava LSD (simpaticoni questi fisici!). LSD stava per Liquid Scintillation Detector. L'esperimento LSD osservò "real time" un burst di 5 neutrini in 7 secondi di tempo, alle ore 2 e 52 ora di Greenwich, ovvero circa 4 ore prima degli altri 3 esperimenti (fonte). Alle ore 7 e 36 anche LSD osservò 2 neutrini, in simultanea con gli altri 3 esperimenti.

Problema: quei 5 neutrini osservati dall'esperimento sotto il Monte Bianco 4 ore prima, hanno a che fare con SN1987A? E perché gli altri 3 esperimenti non videro nulla in quel breve intervallo di tempo, sebbene il loro volume e la loro sensibilità fosse decisamente maggiore di quella dell'esperimento del Monte Bianco?

Qui ci sono svariate ipotesi. La più semplice è che quei 5 neutrini in anticipo di 4 ore, sebbene compattati in 7 secondi di tempo, non abbiano niente a che vedere con la Supernova in questione, e fossero soltanto una occasionale fluttuazione del fondo.

Tratto da: https://diazilla.com/doc/131243/sn-1987a-revisited.


Tuttavia la peculiarità di quei 5 neutrini è che essi hanno un'energia inferiore a quella dei neutrini indubbiamente associabili alla Supernova, che furono visti dagli altri esperimenti 5 ore dopo. Un'energia tale da essere troppo bassa per la soglia in energia dei 3 esperimenti maggiori. Quindi è stato ipotizzato che anche quei 5 neutrini fossero collegati al collasso della nostra Supernova.

Tuttavia sappiamo che il collasso del nucleo della Supernova dovrebbe durare molto poco, e quindi come si spiegano 4 ore di differenza? 

Alcuni (fonte) hanno ipotizzato che il collasso della stella progenitrice sia avvenuto attraverso due fasi, in ognuna delle quali sarebbero stati emessi neutrini, ma di diverse energie. Nella prima fase i neutrini sarebbero stati di energia inferiore, e soltanto LSD fu in grado di osservarli, sebbene la sua sensibilità fosse modesta. Nella seconda fase, caratterizzata dall'emissione di neutrini di energia maggiore, questi furono osservati "in full glory" dai tre esperimenti principali (e solo in minima parte da LSD). A tutt'oggi, da quello che so, la situazione è controversa.

Ma la storia di SN1987A è ricca di altre curiosità e di aspetti poco chiari. 

All'epoca non esistevano ancora i rivelatori di onde gravitazionali a interferometro (LIGO-VIRGO) che ne hanno permesso la scoperta nel 2015, e che oggi rappresentano uno strumento meraviglioso per aiutarci a comprendere l'universo. All'epoca i rivelatori di onde gravitazionali disponibili sul mercato erano dei cilindri (fonte) della lunghezza di qualche metro ai cui estremi erano posti dei rivelatori ultrasofisticati, capaci di captare eventuali infinitesime variazioni di dimensioni del cilindro, se investito da un'onda gravitazionale. Questo tipo di rivelatori, in Italia, furono costruiti dal gruppo romano in cui lavorava anche Edoardo Amaldi.

La prima versione di questo tipo di rivelatore funzionava a temperatura ambiente. Il problema in questo caso è l'enorme rumore di fondo termico. L'effetto di un'onda gravitazionale, infatti, sarebbe quello di causare variazioni di dimensione del cilindro infinitesime rispetto al rumore di fondo causato dalla semplice agitazione termica. Il rumore termico, quindi, era un fattore determinante nel ridurre la capacità di captare segnali deboli, come ci si aspetta dalle sorgenti di onde gravitazionali, soprattutto se distanti. Esistevano 2 rivelatori di questo tipo, uno all'università del Maryland, e uno a Roma.

Esisteva però anche una versione migliore di questo tipo di strumento, in cui il cilindro era criogenicamente raffreddato a bassissima temperatura, in modo da ridurre al minimo il rumore termico. Queste "antenne" erano molto più sensibili delle loro sorelle a temperatura ambiente, e potenzialmente in grado di rivelare un eventuale passaggio di onde gravitazionali originate "non troppo distanti" (nella nostra galassia ad esempio, o in una galassia satellite come la Nube di Magellano, dove esplose SN1987A). Esistevano tre rivelatori di questo tipo, costruiti dai gruppi di Roma, Stanford e Louisiana. Il punto di forza di questi strumenti era quello di lavorare "in coincidenza", in modo da diminuire il rumore di fondo. Un'eventuale onda gravitazionale, infatti, si sarebbe manifestata contemporaneamente in tutte e tre le antenne, al contrario del rumore di fondo, che è casuale. Per inciso questo si fa anche con i nuovi strumenti a interferometro presenti negli USA e in Italia, vicino Pisa. Questa tecnica fu provata per un breve periodo ne 1986, e risultò molto promettente, tanto che gli esperimenti decisero di migliorare le loro antenne per procedere a una fase successiva di presa dati coordinata assieme. Lo spegnimento delle antenne fu deciso nel 1986, proprio quando i neutrini, la luce, e le eventuali onde gravitazionali emesse dall'esplosione di SN1987a, dopo aver viaggiato per quasi 170000 anni, erano già in vista del Sistema Solare...

Quando i segnali proveniente dall'esplosione di SN1987a investirono la Terra, soltanto le 2 antenne a temperatura ambiente di Roma e Maryland erano attive. La loro sensibilità era ovviamente molto modesta, e non sufficiente a "vedere" un'onda gravitazionale. Se le altre antenne criogeniche non fossero state spente per manutenzione e miglioramenti, forse avremmo scoperto le onde gravitazionali con 30 anni di anticipo.

Tuttavia, nonostante la bassa sensibilità delle antenne funzionanti, la cosa interessante è che il gruppo di Roma, guidato da Guido Pizzella, pubblicò uno studio in cui si evidenziavano comunque alcune correlazioni apparentemente significative tra il segnale osservato dalle antenne di Roma e Maryland, e i neutrini di SN1987a (fonte). Bisogna dire che l'analisi dei dati ha suscitato un certo scetticismo, anche perché un eventuale segnale di onde gravitazionali visibile alle antenne a temperatura ambiente avrebbe implicato processi in qualche modo sconosciuti (come peraltro ammesso dagli stessi autori dello studio), oltre a un collasso di SN1987a fortemente asimmetrico, requisito fondamentale per l'emissione di onde gravitazionali in un collasso stellare. Quest'ultimo aspetto sembra però confermato dalle recentissime osservazioni di ciò che resta di SN1987a. Infatti dall'immagine del residuo dell'esplosione, una "collana di perle" che cambia di luminosità nel tempo, e un doppio anello di origine non compresa (fonte), sembra emergere che il collasso di SN1987a sia stato fortemente asimmetrico (fonte). Nel 2019 sembra che siano state evidenziate le tracce di una stella di neutroni al centro di ciò che resta della nostra Supernova (fonte).

Il residuo di SN1987A come appare oggi.

Insomma, la prima volta che abbiamo avuto occasione di osservare una Supernova vicina con gli strumenti della scienza, abbiamo imparato moltissimo, come c'era da immaginarsi. Ma come sempre accade in questi casi, ci ritroviamo anche con tante domande senza risposta. Domande che prima non potevamo neanche chiederci. E' la scienza, bellezza!