lunedì 28 settembre 2020

Aristotele è vivo, e lotta insieme a noi

Una domanda su un gruppo scientifico di Facebook ci mostra che l'approccio Galileiano stenta ancora a prendere piede

La domanda, posta in un gruppo Facebook di interesse scientifico, è molto semplice: "Se la terra avesse un buco che oltrepassasse il centro, e che raggiungesse la superficie dalla parte opposta; come si comporterebbe una massa lasciata cadere dentro questo buco ?"

Questo problema è classico nei corsi iniziali di fisica. Ricordo che il professore di fisica 1 lo discusse a lezione. E' un problema relativamente semplice, e chiaramente ideale. E' del tutto ovvio che nella realtà non si potrebbe costruire un canale che attraversi il centro della terra e che sbuchi dalla parte opposta, e che, nel caso fosse possibile, le complicazioni di cui tenere conto sarebbero di tutti i tipi. Il problema, comunque, può essere affrontato modellizzando la terra in modo via via più elaborato, tenendo conto di alcune complicazioni rispetto alla formulazione base, ma avendo ben presente che comunque qualunque schematizzazione in nessun modo potrebbe neanche lontanamente avvicinarsi a un caso reale. Il motivo, non c'è bisogno di dirlo, è ovvio. Tuttavia, per come è formulato, il problema è molto semplice. 



Ma quello che è veramente interessante non è la sua soluzione, o le eventuali soluzioni aggiungendo alcune piccole complicazioni. Quello che è interessante sono le risposte fornite da tanti. E sottolineo, questi "tanti" sono membri di un gruppo che discute e si interroga di scienza. E' interessante perché ci ricorda che Aristotele è vivo, e lotta insieme a noi. Credevamo che 400 anni di scienza Galileiana avessero spazzato via l'approccio tipico Aristotelico, e invece no. Per alcuni, anche fra quelli che intervengono in un gruppo scientifico nel 2020, Aristotele è ancora - forse inconsciamente - la linea guida nel confrontarsi con un problema fisico. E questo, secondo me, è l'aspetto veramente peculiare, e che merita di essere sviscerato, perché ci serve a sottolineare quale fu il salto di qualità che permise a Galileo di fare Scienza, con la maiuscola. Salto di qualità che ancora, evidentemente, non appartiene al sentore comune.

In ordine casuale ecco infatti alcuni problemi sollevati da alcuni commentatori, relativamente al quesito proposto:

  • La forza di gravità varia con l'inverso del quadrato della distanza, ma dentro il tubo ci sono disuniformità che vanno tenute in considerazione
  • La densità della terra è variabile quindi la massa non varia esattamente col cubo del raggio
  • Qualunque cosa gettata nel buco andrebbe a sbattere contro le pareti a causa della forza di Coriolis.
  • A un certo punto (probabilmente prima di arrivare al centro ma dipende dal materiale della sfera) verrebbe "distrutta" dalla pressione
  • Bisogna considerare il peso dell'aria
  • A meno che non cada esattamente al centro del buco, la parete alla quale è più vicino lo attirerebbe a sé e col tempo cadrebbe sul bordo
  • Senza attrito radente, a 9,81m/sec2, l'oggetto avrà energia sufficiente per risalire e ridiscendere e così via, fino a tanto che, l'attrito dell'aria, ne rallenterà la corsa fermandolo al centro terra
  • È un esperimento mentale e tale rimarrà. Chi mai riuscirebbe nell'impresa? 
  • Con l'attrito come la mettiamo?
  • Se lo tenessimo (l'attrito, n.d.r.) in considerazione, l'oggetto farebbe fatica a superare il centro della terra.
  • Un buco che passa attraverso la terra si riempia d'aria. Sempre che non si stia parlando di una situazione ideale, ma nella domanda originale la condizione non è specificata...
  • In realtà oscillerebbe poco... Credo che raggiunta la velocità limite, comincerebbe a rallentare per la diminuzione dell'accelerazione per fermarsi in prossimità del centro
  • L'esercizio tentato è capire come si comporta in presenza di aria
  • Se introduci un parametro "reale" allora bisogna metterceli tutti. La massa della Terra non è omogenea, la forma non è sferica, ... tutto ciò impone componenti vettoriali nella forza che la rendono non applicata nella direzione del moto.

Facciamo un bel respiro: il problema è ovviamente ideale, e non credo ci sia bisogno di spiegare perché non potrebbe essere altrimenti. E quindi chiediamoci: qual è il motivo per cui si propone questo problema, palesemente immaginario, in un corso di fisica? Cosa si vuol insegnare? Quale aspetto della fisica si vuole sottolineare?

Il motivo è applicare la legge dell'inverso del quadrato della distanza, che fa sì che in un punto qualunque all'interno della terra, assunta di forma sferica, la forza che agisce su una massa di test (dentro un ipotetico buco, anche esso ideale, che serve solo a farla muovere liberamente) dipende soltanto dalla massa contenuta nella sfera di raggio pari alla distanza fra il centro della terra e quel punto. Quindi la forza è massima sulla superficie, e nulla nel centro. Facendo i conti, (si applica il Teorema di Gauss) viene fuori che, nell'ipotesi di densità uniforme, la forza varia linearmente con la distanza dal centro della terra. E' una forza armonica, in pratica, la stessa esercitata da una molla. E quindi il corpo, nel suo ipotetico moto, si muoverà di moto armonico, accelerando verso il centro, dove raggiungerà la velocità massima, per poi rallentare fino alla superficie in direzione opposta, e così via.

Certo, possiamo aggiungerci una densità della terra dipendente dal raggio, oppure posiamo metterci l'aria dentro al tubo, e magari la pressione, e quindi tenere conto della variazione di densità, e possiamo pure metterci l'attrito contro le pareti, o gli effetti della rotazione terrestre, a seconda del nostro livello di perversione. Ma cosa impareremmo di più? Quale concetto fondamentale impareremmo, più fondamentale degli effetti della legge dell'inverso del quadrato della distanza, che regola sia il moto dei pianeti che delle stelle nelle galassie?  Niente, se non che il mondo, nella realtà, è molto più complicato e variegato che nei problemi di fisica 1.

Questo modo di affrontare i problemi introducendo subito tutte le possibili complicazioni, invece di schematizzarli e isolare innanzitutto il nocciolo, il cuore del problema, ovvero l'aspetto senza il quale tutto il resto non conterebbe, era la caratteristica della cultura Aristotelica, del modo di approcciarsi ai fenomeni naturali prima di Galilei. Per 2000 anni l'uomo si è arrabattato per cercare di formulare una legge comune che descrivesse la caduta dei corpi, e non ci è riuscito, perché ragionava esattamente in questo modo: di fronte a piume, martelli, sfere di legno di ulivo o di tek, lastre di pietra invece che cilindri o cubi, osservava in ciascuno di questi casi tutte le loro perverse peculiarità, e cercava di inglobare questa miriade di comportamenti diversi in un unico principio sulla caduta dei gravi.

Il risultato, l'unico possibile in quest'ottica, era che ogni singolo oggetto aveva il suo specifico modo di cadere, la sua peculiare, personalissima "tendenza" verso il suolo. Per forza, che cosa potevamo aspettarci di diverso? Nella realtà, a guardarlo nei minimi dettagli, ogni corpo sulla terra cade in modo impercettibilmente diverso da tutti gli altri.

La grandezza d Galileo Galilei fu quella di comprendere e isolare il nocciolo della questione, togliendo tutti gli orpelli, le situazioni contingenti, che introducevano differenze dovute al contesto. La grandezza di Galileo fu quella di separare il modo in cui i corpi cadono dai fattori di contorno, che niente hanno a che vedere con il motivo per cui un corpo cade. E il contesto, nel caso di Galilei, era la presenza dell'aria, quell'aspetto del problema che fa si che una chiave del 20 cada in modo un po' diverso da una chiave del 12, o un arancio da una ciliegia, un piatto da una tazza.

Ci sono voluti 2000 anni per arrivare a questa astrazione mentale. Da allora, è stato tutto in discesa, e è diventato possibile fare scienza. E' solo grazie a questa capacità di individuare il nocciolo del problema dal contorno che ci ha permesso, e ci permette tuttora, di comprendere come funziona la natura. Prima di questo, la descrizione dei fenomeni naturali era un immensa, noiosissima quanto inutile classificazione di comportamenti diversi.  Perché la natura, a guardarla bene, è di una varietà estrema, e senza la sintesi intrinseca nel metodo scientifico, non ci avremmo capito mai nulla.

 

Nota: per inciso, fu proprio Galileo Galilei, nel suo "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo", a dare per primo la risposta corretta al problema.

Nota 2. Un commento a parte merita la frase "raggiunta la velocità limite, comincerebbe a rallentare per la diminuzione dell'accelerazione". Qui c'è proprio tutta la fisica Aristotelica. L'idea cioè che un corpo si muove solo se qualcosa lo spinge o lo attira, e se non c'è niente a spingerlo o attirarlo, allora tende a fermarsi. Invece sappiamo dalle leggi della dinamica che un corpo non soggetto a forze o resta fermo se era già fermo, oppure continua a muoversi con velocità costante.

 

 

 





mercoledì 16 settembre 2020

Affollato come il vuoto

Il vuoto in fisica non è quello che la parola lascerebbe intendere


Il vuoto, lo dice la parola, è un luogo dove non c'è niente. Per un filosofo forse la definizione potrebbe finire lì. Non so come un filosofo possa definire il vuoto, e se esista un dibattito filosofico sulla definizione del vuoto, dato che non ho mai avuto grande affinità con la filosofia. Il professore di terza liceo aveva seminato delle buone basi, ma quello di quarta e poi quello di quinta le hanno distrutte con il tritolo. Di quello di quinta, in particolare, mi è rimasto solo il ricordo del lunghissimo ciuffo con cui costruiva il riporto, ciuffo che partiva dalla base del collo e serpeggiava su per la nuca facendo vari giri sulla testa, e che ogni tanto cedeva sotto il suo stesso peso, srotolandosi impietosamente per un buon mezzo metro. Il mio rapporto con la filosofia al liceo era caratterizzato unicamente dall'attesa di questo evento catartico.

Comunque, tornando al nostro vuoto, per un fisico non c'è niente di più complesso e affollato del vuoto. Vediamo perché.

Innanzitutto chiediamoci cosa dovremmo fare per produrre il vuoto. Immaginiamo di avere una scatola, e di volerci fare al suo interno "il vuoto".

La scegliamo ben sigillata, e tiriamo via l'aria. Supponiamo di avere le pompe a vuoto più sofisticate in commercio. Non riusciremmo mai a togliere tutta l'aria, qualche molecola qua e là resterebbe comunque, ma si potrebbe dire che alla fine è solo un problema tecnico. In pratica non riusciamo a fare il vuoto, ma la teoria c'è tutta: ciucciamo fuori tutto quello che c'è, e se dalle pareti della scatola le molecole hanno la gentilezza di non staccarsi e andare a vagare al suo interno (cosa che in generale succede, ma noi abbiamo scelto il materiale più adatto allo scopo), ecco che, almeno sulla carta, abbiamo ottenuto il vuoto. 



Dentro l'acceleratore LHC del Cern, ad esempio, c'è una pressione che arriva fino a 10-9 Pa, corrispondente a un vuoto pari a quello presente nello spazio vuoto del sistema solare (fonte). Ci vogliono 2 settimane per pompare via l'aria e raggiungere quella condizione. Potremmo dire che, avendo un sistema tecnologicamente migliore, anche se costosissimo, potremmo avvicinarci al vuoto.

Però. 

Però la nostra scatola ha una sua temperatura. E la fisica ci insegna che un oggetto a una data temperatura diversa dallo zero assoluto emette onde elettromagnetiche. Non importa quale sia il materiale o la forma del contenitore, la nostra scatola, anche se dentro gli abbiamo tolto ogni singola molecola d'aria, sarà piena di fotoni, solo per il fatto di essere a una temperatura diversa dallo zero assoluto. Fotoni la cui energia dipende dalla temperatura della scatola. Quindi dovremmo anche raffreddare la nostra scatola il più possibile verso lo zero assoluto, per ridurre al minimo il contributo dei fotoni naturalmente emessi da qualunque oggetto posto a una data temperatura.

Ma poi esistono le particelle subatomiche. Esiste la teoria dei campi. Esiste la fisica moderna.

Nella teoria dei campi ogni particella è interpretata come un'eccitazione di un campo. E ogni eccitazione di un campo è una particella. Nella meccanica quantistica particelle e campi sono un tutt'uno. Vabè, si potrebbe pensare che, non mettendo particelle nella scatola, avremmo risolto il problema. Nel vuoto classico non c'è nessuna particella, e quindi il mio campo è bello piatto, senza increspature di alcun tipo. Energia zero, tipo una corda tesa e immobile, che è l'esempio che normalmente viene fatto.

Però esiste la meccanica quantistica, e nella meccanica quantistica il principio di indeterminazione di Heisenberg. Il principio di indeterminazione dice che è impossibile che ogni punto della corda che idealmente raffigura il campo presente all'interno della scatola, campo dovuto alla presenza (assenza in questo caso) di particelle, sia sempre costantemente fermo in una data posizione. In altri termini, la corda deve oscillare per soddisfare il principio di indeterminazione di Heisenberg. Poco ma deve farlo, per non far arrabbiare Heisenberg. E se la corda si muove, se la corda oscilla un pochino, e quella corda mi rappresenta l'energia del vuoto, ovvero il minimo di energia compatibile con il principio di indeterminazione di Heisenberg, allora vuol dire che il vuoto contiene energia.

Capite quindi che, se consideriamo i fenomeni quantistici, il nostro vuoto, che sulla carta ci sembrava la cosa più semplice del mondo (cosa c'è più semplice di "niente"?) diventa un oggetto bello incasinato.

Ma guardiamo il nostro vuoto, e guardiamolo con gli occhi della meccanica quantistica.  Ogni singolo punto dello spazio non ha mai un'energia esattamente definita, ma fluttua attorno a un minimo, contemporaneamente in tanti stati diversi (vi ricordate il Gatto di Schrodinger, che è contemporaneamente vivo e morto?). Il vuoto si trova quindi in una sovrapposizione di stati, e quindi può essere visto come un tripudio di particelle, che nascono e muoiono continuamente. Particelle di tutti i tipi, anche estremamente pesanti, la cui effimera esistenza è regolata dalla meccanica quantistica. La nostra scatola, in cui abbiamo tolto l'aria, e che abbiamo raffreddato il più possibile verso lo zero assoluto, è quindi piena dell'energia di questa moltitudine di particelle che saltano fuori e scompaiono incessantemente. Un'energia che è la minima possibile, ma non è zero.
 
Ma possiamo misurare questa energia? Possiamo verificare con qualche tipo di esperimento che tutto questo è vero? Si, possiamo.

Esistono vari effetti che sono stati misurati. Fra questi il Lamb Shift, una leggera variazione di energia nello spettro fra due livelli dell'atomo di idrogeno, misurata con grande precisione. Questa piccola variazione di energia, è dovuta all'interazione dell' elettrone dell'atomo di idrogeno con le fluttuazioni quantistiche del vuoto. In pratica, nell'interazione elettromagnetica con il nucleo, l'elettrone risente degli effetti quantistici del vuoto, che si polarizza, come un dielettrico in un condensatore. Questo produce delle alterazioni del campo elettrico fra elettrone e nucleo, che si manifestano in piccole modifiche dei livelli di energie degli spettri atomici. Modifiche calcolabili, e che vengono puntualmente misurate.

E se qualcuno dovesse pensare che queste misure siamo imprecise e arraffazzonate, visto l'argomento, rispondo che esse sono di gran lunga fra le misure più precise mai realizzate in fisica: la misura sperimentale di 8172.874(60) MHz per il Lamb shift 1S nell'idrogeno si confronta infatti con la previsione teorica di 8172.802(40) MHz. Le cifre fra parentesi danno l'incertezza sulle ultime 2 cifre, sia della misura che della previsione teorica. L'errore è 1.2 parti su 100000, come misurare l'altezza dell'Everest sbagliando di un palmo.
 
Ma quanto vale questa energia del vuoto? E' tanta o è poca? 

Possiamo averne una stima dalla misura della costante cosmologica. La costante cosmologica è quel parametro che si pensa descriva l'accelerazione dell'espansione del'universo. Infatti osserviamo che, espandendosi, l'universo accelera la sua espansione. Si pensa che questo effetto sia legato all'energia del vuoto. Infatti, se la densità di energia del vuoto ha un valore fissato e costante, determinato dalle considerazioni di meccanica quantistica descritte finora, allora aumentando lo spazio (a causa dell'espansione dell'universo) deve aumentare l'energia associata al vuoto. Questa energia ha un effetto repulsivo (pressione negativa) sulla materia. La costante cosmologica è associata a questa grandezza. 
 
Dalla misura della costante cosmologica si stima che il vuoto abbia una densità di energia pari a 10−9 joules per metro cubo. 10−9 joules equivale più o meno all'energia cinetica di una zanzara in volo di ricognizione, diluita in un metro cubo di spazio. Poco, decisamente poco, in termini macroscopici, ma considerato tutto lo spazio vuoto che c'è nell'universo, alla fine viene fuori che questa energia è ciò che domina nell'universo. Quella che viene chiamata energia oscura, e che determina la dinamica dell'universo a grande scala e su tempi lunghi. In pratica, se l'universo oggi è così come lo osserviamo, è grazie alle proprietà del vuoto. Quanti filosofi, pur nei loro pensieri più inconfessabili, sarebbero arrivati a immaginare una cosa del genere?