mercoledì 21 maggio 2014

LHC ? Ma a cosa potra mai servire!


Perché la ricerca di base è indispensabile

Lavorando a un esperimento a LHC al Cern, ogni tanto mi capita di curiosare sui vari blog o siti web che in rete trattano l'argomento dal punto di vista dei non addetti ai lavori. Tra tutte le affermazioni insensate che a volte mi capita di leggere, quella che piu' mi colpisce è la certezza che alcuni hanno sul fatto che la ricerca fondamentale (quale è quella del Cern) "non serve a niente", perché non è finalzzata a scoprire niente di utile e di concreto, e pertanto è solo uno spreco di soldi, tempo, e risorse umanne.

L'affermazione, insensata già di per sé, lo è ancora di più perché si usa il web per esternarla. E' un po' come usare un programma televisivo per denunciare l'inutilità dell'elettromagnetismo. Una ricerchina in rete farebbe infatti scoprire che il web è stato inventato all'inizio degli anni 90 al Cern di Ginevra, proprio da quella ricerca che, con granitica certezza, certi bollano come inutile. E, sempre con una veloce ricerca, si scoprirebbe anche che il web, una delle invenzioni che più di tutte ha avuto impatto sulla nostra vita dal punto di vista economico, culturale e sociale, è stato pensato, in origine, per scopi puramente scientifici, ovvero per facilitare lo scambio e la comunicazione dei risultati della ricerca fra gli scienziati dei vari paesi, senza minimamente intuire quello che avrebbe significato per il mondo di lì a pochi anni, appena reso pubblico (gratuitamente, per inciso).
Il commento del suo supervisiore al documento originale di Tim Bernes-Lee sulla proposta del progetto che avrebbe dato origine al World Wide Web fu un semplice "Vague but exciting".

Il caso del web è emblematico perché da un lato ci conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la ricerca di base, ovvero quella finalizzata allo studio dei fenomeni naturali, produce comunque anche ricadute pratiche importanti per la società, e dall'altro perché ci ricorda come tuttavia sia molto difficile prevedere a priori quali saranno tali ricadute, perché la strada che conduce dalla scoperta scientifica all'applicazione pratica è spesso tortuosa, mai lineare, e difficilmente preventivabile.

Nella puntata precedente abbiamo trattato il problema dei costi della ricerca scientifica, comparati alle spese di "normale amministrazione", mostrando come anche i progetti più costosi, come ad esempio LHC, sono tutto sommato noccioline rispetto alle spese con cui il cittadino medio convive quotidianamente, spesso in modo inconsapevole. Adesso ci occupiamo invece di "a cosa serve" la ricerca scientifica.

Intanto è bene chiarire subito un punto fondamentale; lo scopo della ricerca scientifica non è, come molti credono, quello di scoprire cose utili per l'umanità. Lo scopo della ricerca scientifica è la conoscenza. Il vero motore che spinge qualunque ricercatore a fare questo lavoro è il desiderio di capire come funzionano i meccanismi della natura e delle cose. E questo è ovviamente vero nel caso della ricerca di base, ma vale anche per la ricerca applicata. Chi cerca la cura per l'AIDS o per la sclerosi multipla non lo fa perché ambisce ad essere un benefattore dell'umanità, ma perché spinto dalla curiosità di capire come funzionano i meccanismi che causano queste malattie e come potrebbe essere possibile neutralizzarli. Da sempre il motore della ricerca scientifica, qualunque ricerca, è il desiderio di sapere.

E se la semplice conoscenza può apparire una motivazione troppo futile per impegnare decine di migliaia di esseri umani per venti anni a costruire un acceleratore e analizzare milioni e milioni di dati per studiare come era l'universo più di 13 miliardi di anni fa, se tutto questo può sembrare inutile, lasciatemi innanzitutto sottolineare che la caratteristica principale che contraddistingue gli esseri umani da tutte le altre specie viventi è quella di avere voglia, ogni tanto, di fare cose inutili. Di saper fare cose inutili. Scrivere una poesia, dipingere un quadro, leggere un libro, chiedersi come è fatta una stella irraggiungibile o una particella infinitesimale sono cose assolutamente inutili, perché in nessun modo influenzano direttamente la nostra vita biologica. La perpetuazione della specie umana avverrebbe anche se ci privassimo di queste attività. Eppure esse ci distinguono da un cane o un gatto, che, per quanto simili a noi ci possano apparire, non faranno mai cose che a loro non servono per vivere.  E scusate se è poco!

A questo punto, appurata l'importanza culturale della scienza, è necessario tenere presente che la ricerca fondamentale, ovvero quella finalizzata alla comprensione dei fenomeni naturali, resta comunque l'ingrediente essenziale per qualunque tipo di innovazione. Infatti nessuna delle grandi conquiste tecnologiche che hanno cambiato il mondo sarebbe mai stata possibile senza la ricerca di base.

Ad esempio il laser e il transistor sono figli diretti della meccanica quantistica, una teoria originariamente sviluppata per comprendere il mondo degli atomi.  La miniaturizzazione dell'elettronica è il prodotto delle missioni spaziali, che negli anni 60 hanno guidato la ricerca verso la compattificazione dei componenti elettronici per motivi completamente diversi da un possibile utilizzo pratico nella vita di tutti i giorni. Le innumerevoli tecniche diagnostiche, dai raggi X alla PET (Positron Emission Tomography), alla RMN (Risonanza Magnetica Nucleare), tanto per citare alcuni esempi, non sarebbero state possibili senza le conoscenze sviluppate dalla ricerca dei processi fondamentali della natura.

Gli acceleratori di particelle oggi sono per la quasi totalità utilizzati a scopo medico o industriale. Ulteriori dettagli sul loro utilizzo nella società possono essere trovati ad esempio qui. Soltanto una minima parte degli acceleratori esistenti al mondo è usata per la ricerca nel campo della fisica subnucleare. Eppure quando sono nati, nel dopoguerra, servivano unicamente a studiare le proprietà delle particelle, e se all’epoca ci fossimo chiesti quale sarebbe mai stato il loro utilizzo pratico non avremmo saputo rispondere. Oggi esiste in Italia, a Pavia, un centro di “adroterapia”, il CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica), realizzato con la collaborazione dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che utilizza tecniche sviluppate originariamente per lo studio di un tipo speciale di particelle elementari (gli adroni, appunto) per terapie oncologiche non affrontabili con tecniche tradizionali, perché troppo invasive. E’ un centro all’avanguardia nel mondo: nel 2011 ha trattato il primo paziente, e a regime potrà trattare 3000 pazienti l’anno. Un centro che però non esisterebbe se 50 anni fa avessimo giudicato inutile la ricerca sulla fisica delle particelle, perché apparentemente non finalizzata a niente di pratico.

Il GPS, che adesso è uno strumento di immensa utilità per la navigazione aerea e navale, per funzionare correttamente ha bisogno di tenere conto di alcuni infintesimi effetti della teoria della relatività (sia della relatività ristretta che di quella generale). Ignorando questi piccolissimi effetti il GPS perderebbe la posizione entro pochi minuti. Beh, io sono certo che nemmeno Einstein avrebbe mai potuto ipotizzare che la teoria della relatività, in particolare la relatività generale, che vede la sua piena applicazione in ambienti estremi come le vicinanze di un buco nero o di una stella di neutroni, si sarebbe rivelata indispensabile per far funzionare un oggetto di uso quotidiano.

E una sfida scientifica di grande importanza per tutti noi come la lotta al cancro, ha bisogno del progresso delle conoscenze in innumerevoli settori, dalla medicina alla chimica, dalla biologia alla genetica, ma anche delle nuove tecnologie elettroniche e informatiche.

Il caso del web, di cui abbiamo parlato all'inizio, è quindi solo un'ulteriore prova che non solo ci conferma come sia spesso impossibile prevedere a priori l’utilità pratica della ricerca, ma che ci mostra anche che canalizzare la ricerca per ottenere un determinato risultato pratico non necessariamente è la strada migliore da percorrere. Se infatti si fosse espressamente chiesto alla ricerca di sviluppare una tecnica per facilitare le comunicazioni fra gli esseri viventi del pianeta e dare a tutti libero accesso in tempo reale a ogni tipo di informazione, nulla ci garantisce che sarebbe saltato fuori qualcosa di così semplice, facile e alla portata di tutti.

Infine ci sono altri due importanti sottoprodotti della ricerca di base.

L’indotto. La ricerca produce un importante indotto nell’industria e nella ricerca applicata, e quindi, in termini molto concreti, produce lavoro. Per realizzare esperimenti complessi, come ad esempio quelli del Cern di Ginevra, è necessaria la collaborazione di aziende specializzate nel settore dell’elettronica, del computing, dell’ingegneria e della meccanica di precisione, e la lista potrebbe continuare a lungo. Tutte cose che hanno ripercussioni nell'economia reale.

Le competenze. Un aspetto che viene spesso dimenticato: la ricerca di frontiera produce competenze. I giovani ricercatori (la ricerca, in qualunque settore, è un ambiente molto giovane) sono abituati a lavorare in equipes, spesso internazionali, e acquisiscono specializzazione e competenze tecnico-scientifiche all’avanguardia, che possono poi essere utilizzate in altri settori della ricerca o del mondo del lavoro, e più in generale nella società. E una società dove le competenze sono diffuse è semplicemente una società migliore. E’ questo il motivo per cui molti paesi in via di sviluppo stanno investendo pesantemente, sia economicamente ma soprattutto in risorse umane, nella ricerca scientifica.  E’ emblematico ad esempio che più della metà degli studenti di dottorato in materie scientifiche negli Stati Uniti provenga da paesi come Cina, India, Pakistan e Corea del Sud (fonte e fonte).

Mi piace a questo punto concludere con un esempio inventato ma che ritengo geniale, e che ho appreso da un mio collega, a cui per questo sono grato. Immaginiamo un ricco signore che verso la fine del 700 fosse mecenate e finanziatore di gran parte delle attività sociali e culturali del suo paese. Immaginiamo che questo signore un giorno si scoprisse stanco ed esasperato dalle lunghe attese per comunicare e ricevere notizie da Roma, e che per questo decidesse di voler finanziare, da quel momento in poi, solo le ricerche mirate a risolvere il problema della lentezza di comunicazione fra le due città. Forse sarebbe stato in grado di selezionare cavalli particolarmente veloci e resistenti, o ruote di carri migliori e più sicure, ma certamente mai avrebbe potuto intuire che gli studi che avrebbe dovuto realmente finanziare, quelli che avrebbero veramente portato alla soluzione di tutti i suoi problemi, erano certi anonimi esperimenti, apparentemente completamente scorrelati con il suo problema, condotti da un certo Luigi Galvani con le rane e da un certo Alessandro Volta sul contatto fra materiali diversi: l’elettricità.

4 commenti:

  1. detta in un altro modo: http://www.ilpost.it/2012/08/08/perche-spendere-cosi-tanto-per-lo-spazio/

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    1. Sempre bella. L'avevo già letta, ma poi avevo dimenticato di averlo fatto: grazie per averla rievocata

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  2. La lettura di questo articolo mi fa sognare un mondo dove le argomentazioni e i concetti esposti vengano portati più e più volte alle nuove generazioni, da molte persone diverse, in un'azione capillare che coinvolga tutte le scuole e tutte le classi. Se solo potesse essere vero... allora potrei abbandonare un po' del pessimismo che mi rode sul futuro di questo nostro Bel Paese e sognare di un'Italia migliore. Grazie.

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    1. Sono convinto infatti che tutto debba passare dalla scuola. Indipendentemente da cio' che uno studente andra' a fare nella vita, e' impensabile che non abbia la piena consapevolezza dell'importanza della ricerca scientifica come mezzo insostituibile per l'innovazione e il benessere. Si puo' non sapere nulla di scienza, ma si deve sapere a cosa serve la scienza.

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