martedì 10 gennaio 2017

Relatività for dummies


Capire la teoria della relatività è sorprendentemente facile e alla portata di tutti


La collana dei libri "for dummies", che potrebbe essere tradotto "per negati", ultimamente ha grande diffusione. Se fate un giro in libreria si trovano manuali per dummies su qualunque argomento: chitarra per dummies, cucina veloce per dummies, manutenzione degli impianti termonucleari per dummies, etc. Questo articolo vuole quindi tentare l'impossibile: spiegare la teoria della relatività ai dummies, a quelli che sono convinti che capire la teoria di Einstein non possa rientrare nelle loro capacità terrene.



La teoria della relatività è vista infatti dal grande pubblico come una cosa difficilissima, comprensibile solo a pochi. Nell'immaginario collettivo è l'esempio massimo del prodotto del genio, il simbolo dell'inarrivabile da parte dell'uomo comune. L'ha fatta Einstein, il genio per antonomasia, figuriamoci quindi se uno qualunque, che di mestiere fa l'impiegato e a scuola in matematica viaggiava tra il 5 e il 6 può capire la teoria della relatività! Tutte quelle cose strane sullo spazio, il tempo, gli orologi che sbagliano, i gemelli che non invecchiano... impossibile!

E invece la relatività ristretta (perché esiste anche la relatività generale, che è effettivamente più complessa, e di cui non voglio parlare) è sorprendentemente facile. Ma non lo dico tanto per dire: la relatività ristretta, nei suoi concetti fondamentali, è veramente molto facile! Talmente facile che chiunque, se interessato a capire le cose, pur senza competenze specifiche di matematica e fisica può comprenderne le fondamenta in profondità. E comunque la relatività, in quanto a difficoltà, non è niente di paragonabile alle informative che periodicamente arrivano dalla banca, quelle che quando hai finito di leggere non hai capito non dico i dettagli, ma il concetto principale, che per il cittadino medio si riassume nelle tre possibilità: devi pagare qualcosa, devi avere dei soldi, o puoi semplicemente appallottolare il foglio e buttarlo nel cestino.

Poi i calcoli, certo, hanno bisogno di un po' di matematica, anche se nemmeno tanta, anche perché Einstein, per sua stessa ammissione, di matematica non era poi tutto questo genio (che roba blasfema, eh? Sto distruggendo un mito, come dire che Michelangelo copiava i disegni dal compagno di banco). Però, come diceva il mio professore di fisica Giampietro Puppi, che della materia se ne intendeva, se si capiscono le idee, i calcoli poi bene o male si fanno. E i calcoli, nella relatività ristretta, ovvero tutte quelle cose strane tipo il tempo e le lunghezze che si accorciano, gli orologi che non battono più uguali, i gemelli che si salutano e quando si incontrano non hanno più la stessa età, la materia che si trasforma in energia e altre amenità del genere, sono tutte conseguenze di alcune idee di fondamentale importanza e facilmente comprensibili. Quindi cominciamo.

La teoria della relatività è l'insieme delle conseguenze del "principio di relatività", già intuito da Galilei, che afferma che le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento che si muovono uno rispetto all'altro di moto rettilineo e uniforme (cioè con velocità costante e in linea retta). Questi sistemi di riferimento in gergo si chiamano sistemi di riferimento inerziali.

In pratica vuol dire che le leggi fisiche che governano e descrivono ad esempio il funzionamento dei meccanismi del mio orologio da polso sono le stesse sia che l'orologio si trovi sul mio polso mentre io sono seduto sul divanetto del terminal dell'aeroporto, sia che io mi trovi sull'aereo in volo, purché i due sistemi si muovano di moto rettilineo e uniforme (in linea retta e con velocità costante, cioè senza accelerare o frenare) uno rispetto all'altro.

I sistemi di riferimento inerziali, se si vuol dare una loro definizione più corretta, sono quei sistemi in cui vale il primo principio della dinamica, ovvero che se metto una pallina da ping pong sul tavolo e ho cura di posizionarla ferma, questa resta ferma, e se invece essa si muove con una certa velocità, essa continuerà a muoversi indefinitamente con quella velocità (lasciamo perdere l'attrito). Un'auto che accelera o frena, invece, non è un sistema inerziale, in quanto la pallina, se inizialmente ferma, a seguito dell'accelerazione dell'auto comincerebbe a muoversi in direzione opposta. Pubblicità progresso: usa la cintura, nel caso la tua auto diventi un sistema altamente non inerziale!

Dire che le leggi della fisica sono le stesse sia seduti sul divanetto dell'aeroporto che a 800 Km/h sopra la Groenlandia, in pratica significa che non c'è modo di affermare quale dei due sistemi sia fermo e quale in movimento. E' solo una questione di convenzione dire che l'aereo si muove e l'aeroporto è fermo. In realtà l'aereo si muove rispetto all'aeroporto, e l'aeroporto si muove rispetto all'aereo. Finché non intervengono accelerazioni, ovvero deviazioni dal moto rettilineo e uniforme, i due sistemi sono entrambi inerziali e quindi perfettamente equivalenti, e a pieno diritto i passeggeri dell'aereo possono considerarsi fermi e affermare che è l'aeroporto a muoversi rispetto ad essi. Nessuna legge fisica conosciuta potrebbe mai mostrare differenze fra i due punti di vista. Orologi, molle, motori a scoppio, tutto funzionerà esattamente allo stesso modo in qualunque sistema inerziale.

Una piccola ma doverosa parentesi. Questi discorsi implicano una piccola dose di astrazione mentale. Mettiamo quindi da parte il fatto che l'aeroporto sta sulla terra, che la terra gira, che c'è la forza di gravità, che c'è l'attrito dell'aria etc. Stiamo parlando di una situazione ideale, di due sistemi di riferimento che si muovono in linea retta e con velocità costante uno rispetto all'altro, trascurando quindi tutto ciò che rende il mondo reale enormemente più complicato nei suoi dettagli. Può sembrare un modo di approcciare i problemi sbagliato, perché il nostro scopo è descrivere le leggi del mondo, ma non lo è. Se Galilei fosse partito con l'idea di mettere dentro il problema tutte le infinite complicazioni possibili sarebbe ancora li a trappolare con le sferette, i piani inclinati e i secchi gocciolanti senza averci capito niente. Chiusa la parentesi.

Il fatto che le leggi fisiche siano le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali vuol dire ovviamente anche che esse hanno la stessa formulazione matematica. Se su un aereo in volo (o in un sommergibile, o su una nave o in qualunque altro sistema di riferimento inerziale) ci fossero dei fisici che non si fossero mai parlati con quelli che stanno in laboratorio giù a terra, le espressioni matematiche delle leggi fisiche che essi avrebbero ricavato facendo esperimenti e studi di ogni tipo sarebbero esattamente identiche a quelle ricavate dai loro colleghi giù a terra, perché quelle leggi fisiche sono le stesse. Stampiamoci questo concetto bene in mente, perché sarà fondamentale per capire tutto quello che segue.

Il principio di relatività così formulato, per inciso, è qualcosa che inconsciamente sperimentiamo tutte quelle volte in cui siamo sul treno e osserviamo il treno di fianco muoversi, e per alcuni istanti non sappiamo se siamo noi a muoverci o l'altro. In quel momento non possiamo aggrapparci a nessuna legge fisica per trovare una differenza e stabilire chi si sta realmente muovendo. E' solo guardando un riferimento noto (e quindi affidandoci a una convenzione, cioè che la pensilina è assunta essere ferma) che decidiamo chi si sta muovendo, oppure percependo uno scossone (e quindi un'accelerazione, cioè qualcosa che non ci rende più appartenenti a un sistema inerziale) che possiamo affermare che i due sistemi di riferimento non sono più esattamente equivalenti.

Ma più in generale il principio di relatività lo constatiamo ogni singolo istante della nostra vita, se pensiamo che siamo a cavallo di una terra che si muove a 30 Km/s attorno al sole, e 200 Km/s attorno alla galassia, e chissà a quali altre velocità rispetto ad altri sistemi di riferimento. E nonostante ciò non ci dobbiamo preoccupare della nostra velocità rispetto agli altri sistemi di riferimento dell'universo quando guidiamo la macchina, andiamo in aereo, o dormiamo sul divano davanti al gran premio alle due di pomeriggio con le tagliatelle in piena digestione (e neanche le tagliatelle devono preoccuparsi della loro velocità rispetto al centro della galassia per essere digerite!). Di tutto questo se ne era già accorto Galileo più di 300 anni fa (ma un imam saudita ha ancora qualche dubbio, vedi qui). Il principio di relatività è quindi, per certi versi, un'ovvietà. Se non fosse rispettato dalle leggi della natura, se fosse banalmente sbagliato, il mondo sarebbe invivibile e ce ne saremmo accorti da un pezzo (o forse non saremmo nemmeno qui a parlarne).

A questo punto ci chiediamo: quale relazione matematica c'è fra le coordinate spaziali e temporali di due sistemi di riferimento inerziali in moto relativo uno rispetto all'altro? Traduzione per i dummies: se il mio orologio si trova alla posizione x', y' e z' rispetto al mio sistema di riferimento (ad esempio se sono su un treno in moto), e segna un tempo t' (ad esempio le 8 e 30 precise), e nel frattempo il mio sistema di riferimento, quello su cui mi trovo e in cui sto misurando queste coordinate, si muove di moto rettilineo e uniforme lungo la direzione X, con velocità costante v0 rispetto a un altro sistema di riferimento (ad esempio l'inizio della pensilina), quali saranno le coordinate x, y, z dello stesso punto dove ho messo l'orologio, misurate da chi sta sulla pensilina? E quale tempo segnerà un orologio situato in quest'altro sistema di riferimento, rispetto al mio che segnava le 8 e 30?


Relazioni fra le coordinate di due sistemi di riferimento inerziali.
Lo so, doveva essere per dummies ma sembra un quesito della Susy sulla Settimana Enigmistica, ma guardando la figura è in realtà molto semplice. Intanto semplifichiamoci la vita e scegliamo y=y' e z=z' per come abbiamo deciso di far muovere i due sistemi di riferimento. Se fossimo stati masochisti oppure nerd all'ultimo stadio (le due patologie spesso coesistono) avremmo scelto una direzione storta, che però avrebbe solo complicato inutilmente le cose senza modificare la sostanza. Il tempo, poi, anche lui sarà lo stesso per tutti e due, quindi t = t'. Newton diceva addirittura che è come se da qualche parte nell'universo ci fosse un orologio che segna l'ora esatta per tutti. Un mega Istituto Galileo Ferraris, praticamente, che fornisce il tempo per tutti (meno che per Trenitalia, che ha un'esenzione particolare, in quanto il suo tempo che esula da qualunque teoria fisica, per cui 20 minuti di ritardo reale diventano al massimo 10 sul tabellone). Prendiamo quindi per buono che t = t' in entrambi i sistemi di riferimento. Al momento ci sembra una scelta più che ovvia, ma ne riparleremo più avanti.

Infine per quello che riguarda la relazione tra x' e x,(per come abbiamo deciso di far muovere i due sistemi di riferimento è l'unica coordinata dove ci aspettiamo delle differenze) si capisce dalla figura che avremo x' = x - v0 t', oppure x' = x -v0 t, che tanto t o t' è uguale, perché abbiamo appena visto che i due orologi sono perfettamente sincronizzati. Il termine v0 t (v0 moltiplicato t) non è altro che lo spazio X = (x-x') che il sistema di riferimento di destra ha percorso nel tempo t: spazio percorso  = velocità moltiplicato il tempo impiegato. Niente di trascendentale, e dal disegno si capisce subito.

Le trasformazioni di Galileo, che mettono in relazione le coordinate spazio-temporali di due sistemi di riferimento inerziali in moto relativo con velocità v0.


Queste formule matematiche (si chiamano in gergo trasformazioni di coordinate) mettono in relazione le coordinate x' y' z' e t' misurate dal sistema "primo" con le coordinate x, y, z e t misurate dall'altro sistema, e prendono il nome di "Trasformazioni d Galileo", in onore dello scienziato pisano che per primo ha formulato il principio di relatività. Se lo meritava, il ragazzo, perché aveva fatto un buon lavoro, nonostante tutti gli impiccioni che aveva attorno, che volevano mettere bocca su tutto quello che faceva.

Queste trasformazioni di coordinate, oltre a essere semplici e ovvie da ricavare, adempiono all'importante risultato che le leggi della fisica nei due sistemi di riferimento abbiano le stesse formule. Ad esempio F=ma resta uguale in tutti e due i sistemi di riferimento, se assumete che le coordinate spazio-temporali dei due sistemi di riferimento siano reciprocamente esprimibili tramite le trasformazioni di Galileo. Basta lavorare appena un po' di matematica e si dimostra facilmente. Fidatevi! Quindi la F=ma la possiamo tranquillamente mettere sui libri del liceo per farla studiare, perché quella rimane, sia che siamo a Bologna, a Torino, in un sommergibile, su un eurostar a 300 all'ora, sul Voyager dalle parti di Plutone Sud o dove vi pare, purché sia un sistema di riferimento inerziale.

C'è poi una cosa importante che deriva dalle trasformazioni di Galileo: la legge di somma delle velocità. Ovvero se il mio gatto si muove con velocità u rispetto al mio sistema di riferimento (facciamo che sia una zattera) che ho chiamato 1, e la zattera che si muove con velocità v rispetto al sistema di riferimento della spiaggia che ho chiamato 2, un osservatore che si trova in 2, cioè sulla spiaggia, vedrà muoversi il gatto con velocità u + v. Oppure u - v, dipende dalla direzione in cui si muove il gatto. Più complicato a dirlo e a scriverlo che a capirlo. Tra l'altro questi esempi con le zattere di cui sono pieni i libri sono veramente tristissimi, l'antitesi della divulgazione scientifica! Proprio da libri di fisica di altri tempi. E ringraziate che non ho menzionato i vascelli! E poi nessuno mette mai un gatto su una zattera, che se ti cade in mare c'è pure caso che ti becchi una denuncia dagli animalisti! Al massimo su un cabinato da 15 metri.

Comunque, zattere e gatti a parte, questa è una cosa assolutamente ovvia e ben sperimentata da chiunque. Avete presente ad esempio quei tapis roulant degli aeroporti? Quelli dove salite sopra per andare da un terminal all'altro senza camminare? Se ci salite sopra e state fermi, vi muovete rispetto al pavimento con la velocità con cui si muove il nastro. Se però per caso avete fretta e non vi accontentate della velocità con cui vi fa muovere il nastro di suo, e decidete di camminarci sopra, se guardate il pavimento o i riferimenti fissi dell'aeroporto vi sembrerà di camminare velocissimi. Io lo faccio sempre e mi piace un sacco (ma cerco comunque di non darlo a vedere mantenendo un certo contegno). E' la somma delle velocità: la velocità del tapis roulant si somma alla vostra. Non parliamo poi se c'è un tapis roulant che va in direzione opposta dove anche lì la gente ci cammina sopra: mai visto camminare la gente così veloce! Sono i divertimenti ingenui dei fisici, dovete avere pazienza...

Il sommario di tutto questo discorso sulle velocità è che non esiste una velocità assoluta, ma che la velocità di un oggetto in movimento ci appare diversa a seconda del sistema di riferimento da cui osserviamo il moto. Tanto per dire, un'auto a 130 all'ora mi appare ferma se mi muovo alla stessa sua velocità affiancato in corsia di sorpasso. E' una sensazione che i possessori della Multipla bi-power conoscono bene quando provano a sorpassare restando a metano.

Tutto questo era già chiaro a Galileo Galilei già qualche secolo fa, pur non avendo la Multipla. Però verso la fine dell'800 sorse un problema. Gli scienziati, quelli che i complottisti moderni accusano di occultare le grandi novità che sconvolgerebbero il sapere, per soggiacere ai poteri forti, scoprono un insieme di nuovi fenomeni di modesta utilità pubblica e di irrilevante importanza scientifica che chiamano "elettricità". O meglio, per essere più precisi, "elettromagnetismo", perché si accorgono che l'elettricità e il magnetismo sono in realtà due facce della stessa medaglia.  E nonostante lo strapotere delle lobby dei produttori di candele, che vorrebbero impedire la diffusione di questi promettenti studi, gli scienziati vanno avanti a testa bassa e si appassionano talmente tanto a questo elettromagnetismo da sintetizzare tutti i fenomeni che lo riguardano in sole 4 equazioni differenziali, che vengono oggi chiamate "Equazioni di Maxwell".

Le equazioni di Maxwell, che riassumono tutti i fenomeni elettromagnetici (in questo caso nel vuoto).


Queste 4 equazioni (vedi nota piè pagina), che sicuramente susciteranno un profondo e immediato disgusto in chiunque non abbia conoscenze un po' avanzate di matematica, racchiudono in sé tutti i fenomeni legati all'elettricità, al magnetismo, e alla propagazione delle onde elettromagnetiche, quelle onde che volgarmente chiamiamo "luce". Se si è sufficientemente bravi di matematica, da queste equazioni si ricava tutto quello che ha a che fare con il funzionamento dei ferri da stiro, i motori elettrici, le dinamo e la radio, tanto per dire.

Però queste equazioni, che ambiscono ad essere leggi fondamentali della fisica, hanno un problema serio. Molto serio! Quel termine "c", infatti, è la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche. La velocità della luce. E allora, visto quello che abbiamo detto finora sulla velocità misurata nei vari sistemi di riferimento inerziali, e cioè che una velocità si somma o si sottrae con la velocità del sistema di riferimento, e che non esiste una velocità assoluta, la prima cosa che ci viene da dire su queste equazioni è: "la velocità della luce rispetto a cosa?"

Sì perché, essendo una velocità, allora se corro abbastanza veloce dietro a un raggio di luce lo devo vedere andare più piano. E potrei anche raggiungerlo, se corressi veloce come la luce, e vedere quindi la luce ferma. E se corriamo veloci possiamo anche superare un raggio di luce, e vederlo quindi andare in direzione opposta! Per non parlare poi del problema matematico che verrebbe fuori quando corriamo esattamente come la luce e quel c, la sua velocità, diventerebbe zero, dato che quando in matematica un denominatore diventa zero sono problemi seri.

Che senso ha, quindi, pretendere che queste equazioni siano così fondamentali da metterle sui libri per farle studiare agli studenti, e quindi (è sottinteso) pretendere anche che rispettino il principio di relatività, ovvero restino esattamente inalterate in ogni sistema di riferimento inerziale, se queste stesse equazioni contengono al loro interno una velocità, cioè quanto di più dipendente dal moto del sistema di riferimento ci possa essere? Come possono queste equazioni restare identiche al variare della velocità del sistema di riferimento in cui le si studia, se esse contengono all'interno un termine che rappresenta una velocità?
Gli scienziati dell'epoca (semplificando un filo qualche decennio di storia della fisica) dissero sostanzialmente: "beh, sì, questo è in effetti un problema! Allora vuol dire che le leggi dell'elettromagnetismo, al contrario di quelle della meccanica, non rispettano il principio di relatività".  Eh, sì, perché con quella velocità all'interno delle equazioni di Maxwell, c'è poco da fare. Vuol dire che il principio di relatività - cioè che le leggi della fisica non cambiano bla bla - è rispettato dai vascelli, dalle zattere, dai treni, dalle molle, dalle ruote dentate e da tutto quello che è meccanica, ma appena ci metti di mezzo un fenomeno che ha a che fare con l'elettricità smette di valere.

E quindi, come naturale conseguenza, un fenomeno di tipo elettromagnetico ci dovrebbe apparire diverso a seconda del sistema di riferimento in cui lo guardiamo! E quindi (ma quella volta non si sapeva ancora bene questa cosa) essendo noi umani fatti di una moltitudine di fenomeni elettromagnetici di tutti i tipi, nelle cellule, negli atomi, nelle terminazioni nervose, ovunque, questo potrebbe essere un problema. Ad esempio potrebbe essere che la digestione della parmigiana di melanzane risulti impegnativa sul divano di casa, ma non su un jet supersonico, proprio grazie al fatto che le equazioni di Maxwell violano il principio di relatività (ma quella volta non si sapeva perché la parmigiana di melanzane non era ancora stata inventata).

E quindi, si disse, quel "c" sarà la velocità della luce in un particolare, specialissimo sistema di riferimento, che battezziamo col nome di "etere", ovvero il supporto nel quale si propagano le onde elettromagnetiche. Quel "c" è quindi la velocità della luce misurata quando si è fermi rispetto all'etere!" 

Furbi eh? Peccato che nessuno sapesse in realtà cosa fosse l'etere, né lo avesse mai visto. Doveva comunque essere una specie di gelatina tipo budino, di quelli che quando tocchi il piatto oscillano per mezz'ora. Sufficientemente rigido da garantire l'alta velocità della luce che in esso si propagava, ma anche molto impalpabile, perché nessuno si era mai accorto della sua esistenza, e nessuno camminando aveva mai detto "mannaggia, questo etere che palle, che mi rallenta e mi fa fare tardi all'appuntamento". Speriamo che Trenitalia non legga mai questo articolo, altrimenti include l'etere come possibile causa di ritardo dei treni: "il frecciarossa 7940 per Milanio viaggia con 40 minuti di ritardo causa resistenza al moto opposta dall'etere".

Quindi, tornando al problema, solo se si era fermi rispetto all'etere, le equazioni di Maxwell contenevano "c" e assumevano l'espressione matematica scritta sopra, quella da mettere sui libri. Insomma l'etere, col senno di poi, era candidato a essere - come si dice in gergo tecnico - una grossa cazzata. Però all'epoca era sembrato una scelta sensata, e col senno di poi è facile criticare.

Comunque a quel punto voleva dire che rispetto all'etere la luce doveva viaggiare esattamente alla velocità c, ma se uno si muoveva rispetto all'etere, mettiamo di velocità v, allora la velocità della luce doveva apparirgli essere c + v oppure c - v, a seconda della direzione in cui ci si muoveva nell'etere. Come l'esempio del tapis roulant, uguale! A questo punto, essendo per forza di cose violato il principio di relatività, diventava possibile, tramite esperimenti di elettromagnetismo, evidenziare il moto del sistema di rifermento in cui si facevano le misure rispetto all'etere.

Per farla breve, questi esperimenti furono fatti per la prima volta da due signori, un certo Albert Abraham Michelson e un certo Edward Morley, che usarono la terra stessa come sistema di riferimento che si muove nello spazio, e quindi anche nell'etere. Siccome la terra (che per questo tipo di esperimenti è approssimabile a un sistema inerziale) ruota su se stessa e in più ruota attorno al sole, inevitabilmente noi, ancorati alla terra, cambiamo continuamente la nostra velocità e la sua direzione anche rispetto all'etere. Si fece l'esperimento e, contro ogni aspettativa, non si trovò nulla! Nessun effetto del moto della terra rispetto a questo fantomatico etere. La velocità della luce "c" restava in pratica sempre "c", non volendone sapere di sommarsi o sottrarsi con la velocità della terra o di che altro. La velocità della luce non seguiva insomma la stranota e straovvia legge di somma delle velocità, diretta conseguenza delle trasformazioni di Galileo.

L'esperimento, noto col nome di "esperimento di Michelson-Morley", da allora è stato ripetuto molte altre volte in tutte le salse, sempre con lo stesso risultato negativo. Questo per sottolineare che, come sempre, nella scienza i risultati eclatanti, per essere accettati, hanno bisogno di controlli più che speciali.

Allora, a questo punto facciamo il punto della situazione quando Einstein, nel 1905, lavorava all'ufficio brevetti di Berna:
  1. Le leggi della meccanica seguono il principio di relatività.
  2. Le relazioni matematiche fra sistemi di riferimento inerziali sono le (intuitive) trasformazioni di Galileo. Esse garantiscono che valga il principio di relatività per le leggi della meccanica, cioè che l'espressione matematica delle leggi della meccanica non cambi passando da un sistema di riferimento a un altro in moto relativo.
  3. Queste stesse trasformazioni matematiche implicano automaticamente la ben nota formula di somma (o sottrazione) delle velocità (la storia del tapis roulant...).
  4. Si scoprono i fenomeni elettromagnetici: le leggi dell'elettromagnetismo contengono una velocità al loro interno e quindi, passando da un sistema di riferimento a un altro, in base alle trasformazioni di Galileo per forza di cose cambiano di espressione matematica, violando quindi il principio di relatività. In particolare la velocità delle onde elettromagnetiche dovrebbe dipendere dal sistema di riferimento in cui ci si trova, essendo appunto una velocità.
  5. Però gli esperimenti mostrano che la velocità della luce rimane sempre quella, senza mai sommarsi o sottrarsi alla velocità del sistema di riferimento, come invece sarebbe previsto dalle trasformazioni di Galileo applicate alle equazioni di Maxwell. Quindi le trasformazioni di Galileo non garantiscono la validità del principio di relatività per le leggi dell'elettromagnetismo, sebbene questo ci appaia invece valido dal punto di vista sperimentale.
  6. Pertanto il principio di relatività è sperimentalmente valido sia per le leggi della meccanica che per le leggi dell'elettromagnetismo, sebbene esso venga garantito dalle trasformazioni di Galileo soltanto per le leggi della meccanica ma non per quelle dell'elettromagnetismo.
         
E allora? Come si esce da questo inghippo?

A questo punto arrivò Einstein, che disse; "ragazzi, pochi cazzi! (sembra abbia veramente detto così, anche se in tedesco, sebbene i biografi ufficiali glissino su questo aspetto). Il principio di relatività vale anche per le leggi dell'elettromagnetismo come per quelle della meccanica, e questo è un dato di fatto. E' l'esperimento a dircelo, e l'esperimento viene prima di tutto". E meno male, perché il principio di relatività è una cosa così generale! Una quasi ovvietà!

E allo stesso tempo - disse sempre Einstein - oltre a valere il principio di relatività, la velocità della luce non si somma né si sottrae alle altre velocità, sbattendosene alla grande della legge di somma delle velocità, come invece prevederebbero le trasformazioni dii Galileo. Anche questo, notate bene, è innanzitutto un fatto sperimentale, il risultato di misure. La velocità della luce quella è e quella resta in qualunque sistema di riferimento. D'altra parte, se le equazioni di Maxwell devono rispettare il principio di relatività, quel "c" deve restare sempre c, c'è poco da fare!

E allora a questo punto la soluzione è su un piatto d'argento, e anche i dummies possono capirla: tutto quanto si concilia semplicemente supponendo che siano sbagliate le trasformazioni di Galileo! Facciamo una cosa - disse Einstein - buttiamo nel cesso le trasformazioni di Galileo (gli storici dibattono anche se abbia pronunciato queste esatte parole, ma pare di sì), che non garantiscono il principio di relatività per l'elettromagnetismo, e vediamo quali dovrebbero essere le trasformazioni matematiche fra due sistemi di riferimento inerziali in moto relativo uno rispetto all'altro che mantengono inalterate le equazioni di Maxwell. Queste nuove trasformazioni, quali esse siano, preservano certamente il principio di relatività per i fenomeni elettromagnetici (perché non cambiano la forma delle equazioni di Maxwell), e quindi certamente fanno restare "c" sempre "c" (altrimenti cambierebbe la forma matematica delle equazioni di Maxwell).

Queste trasformazioni, che in realtà un certo Lorentz aveva già ricavato prima di Einstein (e infatti si chiamano trasformazioni di Lorentz), hanno questa forma:

Le trasformazioni di Lorentz, che mettono in relazione le coordinate spazio-temporali di due sistemi di riferimento inerziali in moto relativo con velocità v,  che soppiantano le trasformazioni di Galileo Queste ultime ne rappresentano un'ottima approssimazione quando v è molto inferiore a c.

Lorentz le aveva ricavate con l'intento di cercare proprio quelle relazioni matematiche che avrebero reso invarianti le trasformazioni di Maxwell nel passare da un sistema di riferimento inerziale a un altro. Però non si era reso conto delle loro reali implicazioni fisiche.

Guardiamole quindi in faccia e confrontiamole con quelle di Galileo. Quelle per y e z sono uguali. Se cambia qualcosa, cambia solo lungo la direzione del moto. Invece quelle per x e t hanno quei termini che contengono il rapporto v/c, cioè la velocità del sistema di riferimento diviso la velocità della luce, (che è assunta essere costante, ovvero quella che sta nelle equazioni di Maxwell). Queste trasformazioni, e non quelle di Galileo, rendono inalterate le leggi dell'elettromagnetismo. Sono state ricavate per adempiere esplicitamente a questo scopo.

E le trasformazioni di Galileo, poverine? Veramente, dopo qualche secolo di onorato servizio, le rottamiamo così, senza nemmeno un grazie? Siamo sicuri di fare la cosa giusta? In fin dei conti abbiamo visto che per un tapis roulant funzionavano alla grande! Allora facciamo questa prova: prendiamo le trasformazioni di Lorentz e mettiamoci dentro una velocità v molto piccola rispetto a c. E siccome vogliamo strafare, non ci mettiamo la velocità di un tapis roulant, ma addirittura quella di un jet supersonico, facciamo 1200 Km/h. Questa velocità, per quanto ci sembri alta, è soltanto un milionesimo della velocità della luce, cioè v/c = 0,000001. E quindi, nelle formule, quel v/c possiamo tranquillamente trascurarlo, perché 1 + 0,000001 è praticamente uguale a 1!

Ed ecco che - miracolo! - per velocità piccole rispetto alla velocità della luce, le trasformazioni di Lorentz, in pratica, non sono altro che le trasformazioni di Galileo! Non ce ne eravamo mai accorti, perché soltanto considerando fenomeni le cui velocità in gioco sono vicine a quelle della luce le trasformazioni di Lorentz si fanno sentire. Altrimenti il buon vecchio Galileo funziona ancora benissimo! Quindi non è che con Einstein abbiamo buttato via la fisica classica, ma l'abbiamo semplicemente inglobata dentro una nuova descrizione più completa, che comprende anche i nuovi fenomeni elettromagnetici, che ai tempi di Galileo non erano noti, e per i quali le trasformaazioni di Galileo danno risultati che contraddicono gli esperimenti.

E guardiamo ancora in faccia le trasformazioni di Lorentz. La misura dello spazio dipende dalla misura del tempo, come nelle vecchie trasformazioni di Galileo. Però, contrariamente a queste ultime (che ne rappresentano un'approssimazione valida solo per basse velocità) adesso la formula che ci da il tempo contiene all'interno lo spazio, e questa è una novità assoluta! Secondo le vecchie trasformazioni t' = t, il tempo era sempre quello, e non dipendeva dal valore delle coordinate spaziali, né dalla velocità relativa dei due sistemi di riferimento! Invece adesso le coordinate spaziali e temporali dei due sistemi di riferimento sono mescolate fra loro. Nella relatività di Einstein la misura del tempo dipende dalla misura dello spazio e viceversa, il tutto attraverso la velocità del sistema di riferimento rispetto alla velocità della luce. Le misure di distanze e di tempo nella relatività, sono quindi reciprocamente interconnesse. Ognuna dipende dall'altra, ed è per questo che si parla spesso di spazio-tempo

E la somma delle velocità? Dalle trasformazioni di Galileo si ricavava la formula semplice e ovvia, quella che abbiamo controllato essere valida in un milione di situazioni diverse. Ma, attenzione, purché queste situazioni implichino velocità piccole rispetto alla velocità della luce! Se adesso invece diciamo che le trasformazioni di Galileo sono solo un'approssimazione delle vere leggi di trasformazione delle coordinate, ovvero le trasformazioni di Lorentz, allora forse anche la vecchia somma delle velocità diventa solo un'approssimazione valida solo per basse velocità rispetto a "c", della formula corretta, quella che si ricava dalle trasformazioni di Lorentz.

E infatti la formula corretta che ci da la somma u di due velocità u' e v (entrambe assunte avere la stessa direzione) è questa:

Formula relativistica della somma delle velocità. Per u' e v molti inferiori alla velocità della luce c, essa diventa la formula classica di Galileo. Per u' e v prossimi a c, il risultato non può comunque mai superare la velocità della luce.

Sembra un risultato piuttosto complicato! Ma adesso guardatela e metteteci v e u' molto piccoli rispetto a c. Cosa succede? Siccome u' moltiplicato v è molto minore di c al quadrato, quel termine si può trascurare rispetto a 1, e ottenete esattamente la vecchia formula della somma delle velocità! u = u' + v! Provate mettendoci dei numeri. Ma adesso fate il caso estremo opposto, e metteteci u' = c e v = c. Ovvero immaginate di ricorrere un raggio di luce che va a velocità c correndogli dietro anche voi alla velocità della luce. A che velocità vedrete andare la luce? Secondo Galileo dovevate vedere la luce ferma, e invece adesso viene che la velocità con cui vedete andare il raggio di luce è sempre c! E poi provate con qualunque altra velocità v, tenendo però sempre u' = c, e vedrete che la luce vi apparirà andare sempre alla velocità c. Ecco spiegato il risultato dell'esperimento di Michelson Morley! Per quanto io mi muova veloce o lento, la luce mi appare andare sempre alla stessa velocità, e non c'è verso che si sommi o sottragga alla velocità del mio sistema di riferimento! E quindi quel "c" che compare nelle equazioni di Maxwell non è la velocità della luce in un particolare sistema di riferimento (chiamiamolo etere o come ci pare), ma è LA velocità della luce, quel "c" delle equazioni di Maxwell, perché questa velocità è sempre la stessa in qualunque sistema di riferimento! Non c'è quindi modo di evidenziare il moto assoluto utilizzando le leggi dell'elettromagnetismo. Il principio di relatività è salvo non solo dal punto di vista sperimentale, cosa che era già stata dimostrata, ma anche dal punto di vista matematico.

Parlando un po' a braccio, si può dire che, essendo la velocità uno spazio diviso un tempo, per mantenere costante la velocità della luce in qualunque sistema di riferimento, indipendentemente da quanto veloce questo corra dietro al raggio di luce, se cambia la misura dello spazio tra un sistema e l'altro deve cambiare anche la misura del tempo. Sono obbligato a smettere di considerare il tempo come assoluto, lo stesso ovunque. Il confronto degli intervalli di tempo tra due sistemi di riferimento dipende dalla velocità relativa dei due sistemi. Ecco quindi l'origine di tutti quei paradossi, tipo i gemelli, i muoni dei raggi cosmici etc. Tutto una conseguenza delle trasformazioni di Lorentz, che sono necessarie per garantire l'invarianza delle leggi della fisica passando da un sistema di riferimento inerziale a un altro, e per giustificare il fatto - sperimentale e anche conseguenza del principio di relatività - che la velocità della luce, se sommata o sottratta alla velocità della sorgente, resta sempre dello stesso valore.

Ma - qualcuno potrebbe chiedersi (i più attenti...) - se le trasformazioni corrette che mettono in relazione un sistema di riferimento inerziale a un altro sono le trasformazioni di Lorentz, allora cosa succede alle leggi della meccanica? Avevamo detto che quelle restano invariate usando le trasformazioni di Galileo! E adesso? Ho messo a posto l'elettromagnetismo, trovando le giuste trasformazioni fra sistemi di riferimenti inerziali che rendono invarianti le equazioni di Maxwell, ma di sicuro ho incasinato la meccanica!

E' vero, ma attenzione! Le leggi della meccanica andavano bene dal punto di vista matematico (nel senso che rispettavano il principio di relatività) se assumevamo vere le trasformazioni di Galileo. Adesso invece sappiamo che le trasformazioni corrette sono quelle di Lorentz, delle quali quelle di Galileo sono una valida approssimazione quando le velocità sono piccole rispetto alla velocità della luce. E quindi se le trasformazioni giuste sono quelle di Lorentz anche per la meccanica, la risposta che rimette tutte le cose a posto è che devono essere sbagliate (approssimate!) le leggi della meccanica classica! 

Le nuove leggi della meccanica dovranno quindi essere invarianti nel passare da un sistema di riferimento inerziale all'altro tramite le trasformazioni di Lorentz (e non di Galileo), e contemporaneamente dovranno riprodurre, per basse velocità, le vecchie leggi. Quindi le leggi della meccanica classica non sono banalmente sbagliate (ci abbiamo scoperto un pianeta in base a calcoli puramente teorici, cavolo!).  Sono un'ottima approssimazione di quelle "vere" soltanto se le velocità in gioco sono piccole rispetto alla velocità della luce. Quando questo non accade, come ad esempio in un acceleratore di particelle, quelle leggi però non vanno più bene e danno risultati completamente sballati. Non ce ne eravamo mai accorti perché molle, pianeti e motori a scoppio non implicano mai velocità prossime alla velocità della luce, e quindi non stupisce che nessuno non si fosse mai accorto di questo inghippo prima della scoperta dei fenomeni elettromagnetici, che per definizione hanno invece a che fare con la velocità della luce. Soltanto con velocità "relativistiche" (prossime a "c") ci si accorge che le vecchie formule scazzano di brutto a dare risultati sensati.

E quindi abbiamo imparato che la teoria della relatività di Einstein, con le trasformazioni di Lorentz, nasce come un tutt'uno con l'elettromagnetismo (non a caso il primo lavoro di Einstein sulla relatività, pubblicato nel 1905, si intitolava "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento"). La teoria della relatività, sebbene nei programmi scolastici rientri nella "fisica moderna", è in realtà parte integrante dell'elettromagnetismo classico. Se essa fosse sbagliata, come certi scienziati del web sostengono (sembra che lo scopo primario di certa gente sia quello di sbugiardare Einstein, chissà perché proprio lui, con tutti gli scienziati che ci sono!) il nostro impianto elettrico di casa non potrebbe nemmeno esistere.

E poi abbiamo imparato che, se la relatività di Einstein nasce già inglobata con l'elettromagnetismo, sono le formule della meccanica classica a non essere più compatibili con essa, e devono essere opportunamente modificate in modo da garantire la validità del principio di relatività anche per i fenomeni meccanici secondo le trasformazioni di Lorentz. Da cui ne conseguono cose inusuali, come l'impossibilità di accelerare un corpo dotato di massa fino alla velocità della luce, e un altro aspetto curioso, ovvero che energia e massa inerziale sono due quantità intercambiabili, e sotto opportune condizioni è possibile trasformare energia in materia o viceversa. La famosa E=mc2 è quindi una conseguenza del fatto che il principio di relatività, ovvero il fatto che le leggi della fisica restano inalterate in qualunque sistema di riferimento (inerziale), deve valere non solo per i fenomeni elettromagnetici, ma anche per quelli meccanici. Facile no?

Insomma, non so se sono riuscito a rendere facile la relatività ai dummies. Ho i miei dubbi, in effetti. Ma d'altra parte - diciamolo - questi libri per dummies sono sempre una gran fregatura. Hanno questi titoli che ti fanno credere che basta poco per diventare esperti di tutto, ma dopo qualche pagina ti ricredi immediatamente e capisci che non è cosa. Ti lasci irretire dalle note in seconda copertina e compri "Scrittura cuneiforme per dummies" convinto poi di riuscire a leggere la stele di Hammurabi a letto prima di dormire (è un po' pesante ma il partner ne rimane sempre affascinato) ma poi dopo qualche pagina lasci perdere e passi al libro di Grisham. Io spero di avere fatto almeno un po' meglio.

 

Nota piè pagina: le equazioni di Maxwell così scritte sono nel sistema metrico c.g.s. (centimetro, grammo, secondo) In genere nei libri si trovano scritte nel sistema SI (Sistema Internazionale). Il vantaggio del sistema c.g.s. è solo quello che mi piace di più, perché la velocità della luce nelle equazioni dell'elettromagnetismo viene espressa come c, e non tramite le costanti dielettriche e magnetiche del vuoto, mu-zero e epsilon-zero, che non si sa cosa siano.

15 commenti:

  1. complimenti, un godibilissimo resoconto che centra la questione nel contesto storico-scientifico in cui si è sviluppata.

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  2. Sono distrutto da questa lettura. Quando ero bambino ero convinto di aver capito la relatività (lo giuro anche se non posso provarlo). Siccome credevo all'esistenza dei giganti e di uomini microscopici, dopo aver letto i libro illustrato per ragazzi "i viaggi di Gulliver", il problema per me era evidente pur non avendo mai letto niente di Einstein e non conoscendo la fisica. Se io, un gigante e un microuomo ci muoviamo tutti e tre a 5 km/h, io sto camminando normalmente, il gigante sembra andare al rallentatore e il microuomo ha bisogno di una moto per starci dietro. Ne deducevo che (qualcuno doveva avermi spiegato che era un problema di spazio e di tempo) perché tutti andiamo alla stessa velocità il sistema di riferimento non poteva essere lo stesso per tutti e che quindi lo spazio e il tempo erano concetti relativi. Non ricordo quanti anni avessi ma anche se mi fa ridere mi chiedo come mai da un bambino così promettente sia venuto fuori io.

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  3. Se dicessi che ho tutto chiaro in testa, sarei un gran bugiardo. Ma qualcosa l'ho capita anche se, per la verità, è da un po' di tempo che mi sto appassionando della teoria ristretta o speciale della relatività. Una cosa però non mi è ancora chiara. Se un oggetto cade verso il basso in un sistema inerziale, cade esattamente nel punto in cui ci si aspettava che cadesse anche se, per un osservatore in un altro sistema di riferimento fermo rispetto al primo, l'oggetto percorre una linea, che non è retta perché la forza di gravità è un'accelerazione, ma che ha un tragitto diciamo "diagonale". Questo perché l'oggetto che cade risente di due forze, la gravità verticale e la velocità orizzontale. Se la gravità non fosse un'accelerazione ma un moto rettilineo uniforme, sarebe semplicissimo calcolare la diagonale risultante delle due forze: un bel rettangolo con l'altezza che rappresenta la gravità e la base che rappresenta la direzione del mezzo in cui cade il grave.
    Benissimo. Ma l'oggetto che cade ha una massa diversa da zero per cui a una massa possiamo applicare delle forze. Ma la luce? Come si comporta un fotone privo di massa? Se accendo una lampadina, la luce si propaga in tutte le direzioni. Isoliamo, come nell'orologio a luce, un singolo raggio (lo facciamo passare per un forellino minuscolo) e lo mandiamo verticalmente verso l'alto. In un sistema di riferimento fermo il raggio colpisce il famoso specchio sul soffitto e ritorna al punto di partenza percorrendo due volte la distanza d. Ma in un sistema di riferimento inerziale, come può un fotone privo di massa risentire della velocità del mezzo e percorrere, per un osservatore esterno fermo, un percorso diagonale? E' vero che, se il raggio proseguisse verticalmente la sua corsa senza risentire della velocità, l'osservatore interno lo vedrebbe sicuramente andare in diagonale in direzione opposta a quella del movimento del mezzo, ma sarebbe comunque un moto apparente e non reale, esattamente come il sole che, nel suo moto apparente, sembra che giri intorno alla terra. Insomma in un'astronave che si muovesse a velocità paragonabili a c, quando è ferma, il raggio andrebbe ortogonalmente verso il soffitto; ma, in movimento, il raggio andrebbe (o meglio, sembrerebbe andare) diagonalmente nella direzione opposta al movimento del mezzo. E questo in aperto contrasto con la relatività speciale. Io capirei se il fotone fosse materia: alla materia si possono applicare forze. Ma il fotone non è materia. Anche se, secondo la meccanica quantistica, non si capisce bene se la materia sia di natura corpuscolare oppure ondulatoria. E a questo punto ci sarebbe ben poca differenza tra luce e materia perché, se non ho capito male, si tratterebbe sempre di stringhe di energia. Mi piacerebbe capirci qualcosa di più. Grazie per la pazienza dimostrata per essere arrivato a leggere fin qui. Marco

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    1. Se ho capito cosa intendi, la risposta è che anche per la luce, come per tutti gli altri corpi, vale la regola di composizione delle velocità fra sistemi di riferimento inerziali. Ma la regola non è quella della relatività di Galileo. Il tuo problema è l'esperimento di Michelson Morley. https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Michelson-Morley

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    2. Attraverso la relatività generale si abbandona il concetto di forza di gravità, come azione a distanza. Le accelerazioni o i corpi massivi deformano lo spazio circostante, per cui la materia o la luce si muove in uno spazio deformato indipendentemente dalla propria massa.

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  4. Domandina.
    La stella più vicina è Alfa Centauri che dista solo 4,365 anni luce.
    Se disponessimo di un'astronave che viaggia alla velocità della luce... Lo so, lo so, la velocità della luce non solo non si può superare, ma neanche raggiungere. E allora, se questa astronave viaggiasse a 0,9999 c, quanto ci metterebbe a raggiungere Alfa Centauri? Facile, direte voi: praticamente lo stesso tempo. E se io invece vi dicessi che ci mette circa 22 giorni e mezzo? E già, perché, a quella velocità, il fattore di Lorentz è circa 70,7. La formula per calcolare questo fattore infatti è 1 / ((1 - b^2)^0.5) dove b = 0,9999. Il valore esatto è 70,71244595. Quindi, per la relatività ristretta lo spazio di 4,365 anni luce, che è valido per un osservatore terrestre, per chi viaggiasse invece nell'astronave alla pazzesca velocità di 0,9999 c, si contrarrebbe di 70,7 volte e diventerebbe 22,54 giorni luce. O sbaglio?
    Ma allora, direte voi, la luce impiega 4,365 anni a raggiungere Alfa Centauri, ma questo soltanto secondo il nostro punto di vista. E dal punto di vista della luce? Bella domanda. Viaggiando alla velocità c, il fattore di Lorentz è infinito e questo significa solo una cosa: non ha importanza quanto sia grande, anche miliardi di anni luce, ma la luce per percorrere qualsiasi distanza impiega, dal suo punto di vista, "solo" zero secondi. O no?
    Marco

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    1. E' giusto. Quello che hai calcolato si chiama "tempo proprio", che per un raggio di luce è sempre zero.

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    2. Se si potesse viaggiare a cavallo di un fotone riusciremmo a fermare il tempo e vivere in eterno. Cosa che potrebbe succedere all'anima-coscienza dopo la morte.

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    3. Domanda: ma in riferimento al paradosso di olbers, se la luce raggiunge tutto in maniera istantanea, perchè di notte fa buio?

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    4. La luce non raggiunge tutto in maniera istantanea, ma ci mette del tempo. Ma non basta: nel frattempo l'universo si espande, e questo fa cambiare la frequenza (il colore) alla luce emessa da una galassia distante. Ma non solo, l'espansione dell'universo fa si che noi abbiamo una distanza massima visibile, che è legata alla velocità della luce ma anche alla velocità di espansione dell'universo, che rende inaccessibili distanze oltre un certo valore limite. Il risultato, combinato con il fatto che l'universo non è esistito sempre nella forma attuale, ma ha un'età di quasi 14 miliardi di anni, è che la distanza massima che riusciamo ad osservare è dell'ordine di 45 miliardi di anni luce. Questo insieme di cose rende l'univero buio.

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  5. Ho letto con interesse la discussione fra Lei e Marco circa il tragitto della luce emessa in movimento. Mi permetto di ricordarLe l’esempio che si trova ripetutamente in rete, secondo cui il lampo di luce emesso da un auto ferma percorre il solito tragitto del lampo di luce emesso da un’auto in movimento purché parta dal solito punto. Si può dedurre che il moto del generatore non influisce sul percorso della luce. Lo stesso non si può dire quando i raggi fossero emessi verso l’alto, vedi orologio luce. Sarei lieto se Lei mi dicesse come si giustifica questo fatto. Grazie.
    Gian Carlo

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    1. Le coordinate parallele alla direzione del moto e quelle ad esso perpendicolari hanno una diversa dipendenza dal moto del sistema di riferimento da cui le si osserva. Mentre quelle parallele alla direzione della velocità relativa dei due sistemi di riferimento dipendono dalla velocità stessa (da cui deriano tutti gli effetti "strani" tipo contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi tipici della relatività Einsteniana) quelle perpendicolari alla direzione del moto sono le stessi in qualunque sistema di riferimento. Questo introduce una differenza fra ciò che avviene lungo le due componenti del moto. Dal punto di vista di un raggio di luce, il percorso è sempre quello. Quello che cambia è come viene visto il percorso del raggio di luce da sistemi diversi in moto relativo fra loro.

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    2. Un proiettile compie 1 metro al secondo ed è sparato da sopra un veicolo che viaggia alla velocità di 0,6 metri al secondo. Se lo sparo è indirizzato nella direzione del moto del veicolo, un osservatore fermo a terra, dopo 1 secondo, vede il proiettile percorre 1 + 0.6 = 1,6 metri. Se lo sparo è indirizzato verso l’alto lo vede percorre la diagonale lunga (12 + 0,62)1/2 = 1,166 metri. Il moto del veicolo influisce in modo diverso sul proiettile ma influisce sempre. Comprensibilissimo!
      Se invece di un proiettile fosse un lampo di luce e il veicolo viaggiasse alla velocità del 60% della luce, in 1 secondo il lampo sparato nella direzione del moto del veicolo sarebbe visto da terra percorrere ancora 1 secondo luce, mentre fosse sparato in verticale sarebbe visto percorrere la diagonale lunga 1,25 secondi luce. Ciò significa che per un comune mortale terrestre, quando la luce emessa in movimento è diretta parallela al moto del generatore, non risente di questo moto; ne risente invece quando è diretta in verticale. E non esiste un perché. Bisogna crederci perché l’ha detto Lorentz e l’ha ribadito Einstein.
      Vede, io non mi stupisco che si dica che il muone percorre un’atmosfera alta 600 metri quando io so che percorre ben 15.000 metri e non mi meraviglia neanche il paradosso dei gemelli; mi sorprende solo il fatto che la scienza ufficiale creda a tutto ciò.
      Gian Carlo

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  6. Ritorno sull'argomento perché ho un piccolissimo quesito.

    Un'astronave viaggia a 0,866 c, con fattore di Lorentz = 2.
    A bordo, un raggio in un orologio luce percorre il tragitto verticale di andata e ritorno nel tempo T. A Terra questo tempo (che è il tempo proprio), moltiplicato per il fattore di Lorentz, diventa 2T, perché il percorso di luce è diagonale ed è doppio. Se ne deduce che il tempo nell'astronave rallenta e che il tempo trascorso è esattamente la metà di quello che trascorre a Terra.

    Allo stesso modo, un raggio in un orologio luce a Terra percorre il tragitto verticale di andata e ritorno nel tempo 2T. Sull'astronave (che, poiché non esiste un sistema di riferimento privilegiato, possiamo immaginare ferma mentre è la Terra che viaggia a 0,0866 c) il tempo proprio dell'orologio luce a Terra, moltiplicato per il fattore di Lorentz, diventa 4T. Se ne deduce che il tempo a Terra rallenta e che il tempo trascorso è esattamente la metà di quello che trascorre nell'astronave.

    Così succede che quando ci sono due orologi luce, uno in ciascun sistema di riferimento, il tempo rallenta (da 2T a T) o accelera (da 2T a 4T) secondo quale sistema di riferimento si considera: i due sistemi di riferimento sono in moto relativo e non importa quale sia realmente in moto e quale sia invece fermo.

    Eppure io so che gli orologi atomici nei satelliti GPS (che accelerano di 45 microsecondi per effetto della teoria di relatività generale) rallentano di 7 microsecondi per effetto della relatività ristretta (perché sono i satelliti che si muovono e la Terra è [quasi] ferma non mi sembra una risposta accettabile).
    Perché allora gli orologi satellitari rallentano invece di accelerare di 7 microsecondi? Come si spiega il paradosso dei due orologi luce?

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  7. La genialità di Einstein risiede nell'intuizione di abbandonare l'incardinato concetto di tempo assoluto e aver concepito l'innovativo concetto di tempo relativo.
    https://relativitaspecialegenerale.blogspot.it

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