Un blog di scienza e cazzeggio, tra il serio (quando serve) e il semiserio (quasi sempre)
venerdì 26 marzo 2021
Le cose che non si sanno (e che vorremmo sapere)
giovedì 18 marzo 2021
Il tempo non esiste!!!!!
E' la frase perentoria che sui gruppi Facebook di fisica certi ti rivolgono non appena menzioni la parola tempo. Un intervento a gamba tesa mentre ingenuamente usi la parola tempo per cercare di descrivere un normale problema di fisica. Che ti viene da dire "si va bene, mo' me lo segno!", come Troisi quando gli dicevano "Ricordati che devi morire!".
Ma da dove nasce questa moda dei cultori della fisica 2.0, per cui se poco poco menzioni il termine tempo, è garantito che arrivi subito qualcuno a ricordarti che il tempo non esiste? La moda ha origine da Carlo Rovelli (che Dio lo fulmini, prima o poi pagherà per aver dato il via a questo delirio) fisico e scrittore che con il suo libro L'ordine del tempo (ed. Adelphi) ha venduto più delle cinquanta sfumature di rosso, nero, fucsia e beige tutte assieme.
E quindi adesso vogliamo capire le motivazioni vere che stanno dietro questa affermazione sul tempo, affermazione che ovviamente ha un'origine seria e scientifica, ma che certamente non si può sintetizzare nella frase secca il tempo non esiste, come si direbbe per Babbo Natale o la fatina dei dentini.
Che cosa intende quindi Carlo Rovelli (e tanti altri fisici con lui) con la frase il tempo non esiste? Intende che il tempo, secondo alcune teorie, è una quantità emergente, e non realmente esistente in sé. Facciamo un esempio che tutti conosciamo: la temperatura.
La temperatura la misuriamo, ne parliamo, ne confrontiamo i valori da città a città e da ora a ora. Tuttavia, la temperatura in realtà non è una grandezza fisica fondamentale, ma è una proprietà emergente di qualcosa di più fondamentale, che è la struttura e la dinamica dei componenti della materia. La temperatura di una pentola d'acqua non è altro che l'effetto macroscopico dell'energia cinetica delle molecole d'acqua, e della loro interazione. La temperatura di una stanza misurata da un termometro è il risultato delle interazioni delle molecole dell'ambiente circostante con le molecole del termometro. Se fossimo una molecola di un gas, sballottata in mezzo a tante altre molecole, non sapremmo dire il valore della nostra temperatura. Non capiremmo nemmeno la domanda. La temperatura è quindi un parametro che utilizziamo, e che ci è comodo utilizzare per descrivere i fenomeni con cui conviviamo, la cui vera natura sta però in qualcosa di più fondamentale. In questo senso la temperatura in sé non esiste, ma è un fenomeno emergente.
E il tempo invece? In che senso il tempo è una quantità emergente di qualcos'altro? Da dove nasce l'esigenza di considerare il tempo l'effetto emergente di qualcos'altro? E soprattutto, che cos'è questo qualcos'altro? La questione è spiegata dalla gravità quantistica.
Per capire dove sta il problema che ci porterà a queste conclusioni, partiamo dalla Gravitazione. Prima di Einstein lo spazio era un contenitore inerte all'interno del quale si muovevano e agivano le masse, i pianeti, il sole, le stelle. Il tempo, poi, era un'entità scandita da qualche orologio universale, un Istituto Galileo Ferraris che dava l'ora a tutti quanti nell'Universo. Spazio e tempo erano un palcoscenico vuoto e passivo, in cui semplicemente erano collocate le cose del mondo.
Poi però arriva la Teoria della Relatività Ristretta, che interconnette spazio e tempo. La causa di questa connessione è duplice: l'invarianza della velocità della luce, che è la stessa ovunque e comunque la si misuri, e il fatto che le leggi della fisica non dipendono da dove ci si trova, se in moto attorno al sole, in poltrona sul divano, in viaggio verso Plutone. La Relatività Ristretta, supportata da una miriade di esperimenti di tutti i tipi, ci obbliga a parlare di spazio-tempo come quantità connesse fra loro.
Dieci anni dopo arriva la Relatività Generale, in cui lo spazio e il tempo non solo sono connessi fra loro, ma smettono anche di essere un teatro vuoto da riempire con i fatti e gli abitanti del mondo. Essi diventano infatti parte attiva di ciò che avviene nel mondo, dando origine alla forza di gravità. Nella Relatività Generale ciò che chiamiamo forza di gravità in realtà è una modifica, una distorsione dello spazio-tempo. Quella che credevamo essere una forza che agiva nello spazio e nel tempo, è in realtà il risultato di una proprietà intrinseca dello spazio-tempo: la sua geometria. Una mela che cade in realtà, secondo la teoria della Relatività Generale, si muove liberamente, non soggetta a forze, in uno spazio-tempo modificato dalla presenza della terra e della mela stessa. Mentre cade, la mela, dal suo punto di vista, sta ferma (e infatti, come gli astronauti in orbita, non percepisce nessuna forza su di sé).
Poi però abbiamo le altre forze, o interazioni, come le chiamano i fisici: l'elettromagnetismo, le forze nucleari deboli e forti. Queste interazioni sono descritte oggi dalla meccanica quantistica, in ciò che si chiama teoria quantistica dei campi. Nella teoria quantistica dei campi lo spazio e il tempo sono di nuovo quelli di Newton. Non sono parte attiva di ciò che avviene, come per la gravitazione, ma sono spettatori muti dei fenomeni quantistici. Sono un semplice contenitore.
La teoria quantistica dei campi, come la Relatività Generale, è suffragata da una tonnellata di esperimenti di tutti i tipi.
Quindi siamo nella situazione paradossale in cui abbiamo due teorie di estremo successo nel loro rispettivo campo, la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica, che però usano lo spazio-tempo in modo radicalmente e concettualmente diverso. La prima vede nelle proprietà dello spazio-tempo la causa dei fenomeni, mentre la seconda lo usa come un semplice contenitore totalmente passivo.
Chiaramente c'è qualcosa che non va. Chiaramente queste due visioni non possono convivere, se si tenta di mettere assieme teoria dei campi e gravitazione.
All'atto pratico, non è in realtà un grosso problema, perché nel mondo dei fenomeni quantistici che riusciamo a studiare la gravità ha un effetto praticamente nullo. Le interazioni elettromagnetiche, nucleari e deboli sono immensamente più forti di quelle gravitazionali, tanto da rendere quest'ultima assolutamente trascurabile. Una calamita da 1 euro a forma di puffo sul frigorifero vince su tutta la forza di gravità dell'intera Terra nel trattenere un foglio di carta dal cadere. Nelle interazioni fra atomi, molecole, nuclei e particelle studiate nei nostri laboratori, possiamo tranquillamente ignorare la gravità senza sbagliare di una virgola.
Però possiamo allo stesso tempo ipotizzare situazioni in cui la gravità diventi rilevante, importante tanto quanto le altre interazioni. Se ad esempio potessimo far scontrare due protoni non all'energia di 1000 GeV, come avviene all'LHC del Cern o nei raggi cosmici più energetici, ma all'energia di 10¹⁹ GeV, nel punto in cui i due protoni si scontrerebbero concentreremmo così tanta energia da produrre un buco nero. Un buco nero quantistico, grande (si fa per dire) 10−35 m, ma pur sempre un buco nero. In queste condizioni è chiaro che non potremmo ignorare la Relatività Generale, pur trattandosi di un fenomeno quantistico. E una mistura del genere non sappiamo proprio descriverla con la fisica che conosciamo.
In queste situazioni estreme, infatti, i due mondi, quello gravitazionale in cui lo spazio-tempo è parte attiva dei fenomeni, e quello quantistico, in cui lo spazio-tempo è un semplice contenitore inerte e vuoto, si incontrano senza poter convivere. Entrambi contemporaneamente non li sappiamo trattare, con la fisica che conosciamo.
Da questo nasce l'esigenza della gravità quantistica, che è il ponte fra questi due mondi che al momento ci manca.
Costruire una teoria di gravità quantistica significa in pratica partorire una teoria più profonda e più completa dello spazio e del tempo, e di come essi interagiscono con la materia. In questa teoria più fondamentale, su cui lavorano molti fisici teorici (tra cui Carlo Rovelli) lo spazio-tempo non è il punto di partenza, ma il punto di arrivo. E notate bene che questo non è un problema filosofico, come ingenuamente si potrebbe credere, ma un problema strettamente fisico. I problemi di compatibilità delle teorie fisiche che si incontrano alla scala di Planck sono problemi fisici, concreti, sebbene ininfluenti nel mondo quotidiano. Nei primi istanti di vita dell'universo, tanti per dire, erano la normalità.
Esiste molta ricerca teorica in questo campo. In alcuni settori di questa ricerca i quanti fondamentali sono i costituenti elementari dello spazio-tempo stesso, gli atomi che lo costituiscono. E quindi, in queste teorie, non esiste uno spazio-tempo in cui essi agiscono (agiscono su spazi matematici più astratti) ma lo spazio-tempo viene da essi generato come effetto per così dire secondario della loro esistenza. Sono pertanto la dinamica e le interazioni di queste entità fondamentali a generare una specie di fenomeno collettivo che chiamiamo spazio-tempo. In questo senso lo spazio e il tempo sono quindi quantità emergenti, così come lo è la temperatura.
Possiamo mettere alla prova le nostre congetture sulla gravità quantistica? Esistono quantità misurabili sperimentalmente per validare o smentire le ipotesi della gravità quantistica? L'ambiente ideale, e per il momento unico in cui mettere alla prova queste teorie, è l'universo primordiale. L'universo di quasi 14 miliardi di anni fa. Impossibile accedervi, si potrebbe pensare! Ma l'universo che osserviamo ha una particolarità: guardare distante significa guardare indietro nel tempo. Purtroppo non abbiamo accesso all'universo dei primi istanti di vita tramite ciò che chiamiamo genericamente luce. Non direttamente, per lo meno. Le condizioni dell'universo che erano presenti al momento del disaccoppiamento fra radiazione elettromagnetica e materia, avvenuto circa 13 miliardi e mezzo di anni fa, e che ha dato origine alla radiazione cosmica di fondo, rappresentano uno schermo opaco e sostanzialmente invalicabile nei confronti di tutto ciò che è avvenuto prima, che è ciò che invece ci interessa.
Tuttavia le condizioni estreme dell'universo primordiale possono avere comunque lasciato tenui tracce nei dettagli della radiazione cosmica di fondo. Qualcosa, di quelle condizioni così estreme, può essere rimasto impresso in quella luce primordiale. E questo qualcosa lo si sta cercando. Se ne vedono già le tracce, tenui increspature in un universo altrimenti tutto uguale e monotono, e esperimenti futuri cercheranno di indagarle meglio.
Ma esistono altri ambienti in cui la gravità quantistica che regolava l'universo primordiale può avere lasciato tracce importanti, primo fra tutti le onde gravitazionali emesse in ciò che chiamiamo big bang, qualunque cosa possa significare questo termine. La nuova astronomia a onde gravitazionali, nata da pochi anni con la fantastica scoperta delle onde gravitazionali emesse dalla fusione di buchi neri, ci sta riservando continue sorprese, sebbene queste non salgano sempre all'onore delle cronache giornalistiche. E le future generazioni di esperimenti sulla ricerca di onde gravitazionali nel cosmo potrebbero mostrarci i dettagli dell'universo appena nato proprio tramite queste messaggere del cosmo.
Torniamo sulla Terra per le conclusioni: il tempo non esiste (e neanche lo spazio) in un mondo regolato dalla gravità quantistica. Tuttavia la frase "il tempo non esiste" è del tutto priva di senso se applicata ai problemi fisici reali che trattiamo abitualmente. Priva di senso come sarebbe privo di senso affermare che la temperatura non esiste a uno che si lamenta di avere freddo e vuole alzare il termosifone. O al medico che ti chiede se hai avuto la febbre. A meno che il vostro interlocutore non abbia le dimensioni di 10−33 cm. In quel caso potrebbe aver un senso.
Per maggiori approfondimenti: https://www.nature.com/articles/d41586-018-05095-z