Misurare la velocità della luce in cucina
Tra le tante cose che ha fatto Galileo Galilei, oltre a inventare la scienza, c'è quella di aver cercato di misurare la velocità della luce. Doveva aver già subodorato che andava veloce (la convinzione comune all'epoca era che la sua velocità fosse infinita) ma ciò nonostante gli venne comunque la curiosità di misurare quanto veloce andasse. Segno che nessuno ci aveva mai provato, come spesso accadeva all'epoca, in cui si fornivano spiegazioni ai fenomeni naturali senza poi prendersi la briga di controllare se fossero vere o magari assurdamente sbagliate. Che è poi la stessa cosa che fanno oggi le pseudoscienze: riempono siti web di teorie su teorie, senza mai controllare se sono vere.
Galileo invece prese un amico, due lanterne, e due teli. L'amico lo scelse tra quelli che avevano i riflessi buoni, vedremo tra poco perché. Si mise su una collina con la lanterna coperta dal telo (stando attento a non prendere fuoco; questo i biografi non lo dicono, ma mi sento di aggiungerlo come contributo personale alla storia del grande scienziato pisano). Spedì l'amico su una collina distante con l'altra lanterna, posizionandolo in modo che comunque potevano vedersi a vicenda, e gli chiese di tenere la lanterna coperta (stando sempre attento a non prendere fuoco).
Poi ad un certo punto Galileo (vedi nota a piè pagina) scopriva la lanterna, e la luce diventava libera di viaggiare in direzione dell'amico, che essendo stato scelto particolarmente sveglio, non appena vedeva la luce della lanterna che lo scienziato aveva scoperto, doveva, velocissimo, scoprire la sua, la cui luce sarebbe ritornata verso Galileo.
Il quale, con i suoi sofisticatissimi cronometri elettronici, misurava il tempo passato da quando egli aveva scoperto la sua lanterna, a quando la luce del suo amico gli perveniva indietro. Da tutto questo, essendo la velocità uguale allo spazio percorso diviso il tempo impiegto (a quel tempo i libri di fisica finivano più o meno a quel capitolo, e studiare fisica alle superiori era come studiare storia nella preistoria: due paginette in tutto), e essendo lo spazio pari a due volte la distanza dall'amico (distanza che era stata misurata in qualche modo), una semplice divisione e ecco misurata la velocità della luce.
L'esperimento sembra ingenuo ma non lo è affatto, perché ci dice chiaramente che nessuno aveva mai provato a fare questa misura. Altrimenti non si sarebbe tentato un esperimento che ai nostri occhi appare impossibile da realizzare nella pratica. Infatti il punto è che, se non conosciamo la velocità della luce, quando vediamo qualcosa accadere non sappiamo quanto tempo ci ha messo la luce ad arrivare fino a noi. Vediamo lo "stop" dell'esperimento, ovvero l'arrivo della luce ai nostri occhi, ma non sappiamo quando è avvenuto lo "start", cioè quando la luce è partita, ovvero quando è avvenuto l'evento che vediamo. E dato che niente viaggia più veloce della luce, prima di percepire l'arrivo della luce non abbiamo alcuna informazione sul fatto che quell'evento sia già avvenuto. E quindi l'esperimento di Galileo è solo apparentemente ingenuo, perché rappresenta il primo tentativo di avere il controllo sia sullo "start" che sullo "stop". Un'ovvietà oggi, forse, ma evidentemente un grande salto di ingegno a quell'epoca in cui il metodo scientifico muoveva i primi passi.
In sostanza Galileo sapeva che la luce andava veloce, ma il fatto stesso che non avesse fino in fondo l'idea di quanto veloce andasse, ce la dice lunga su quanto scarsa fosse, fino ad allora, l'attitudine umana a controllare e cercare di capire i fenomeni naturali, anche i più banali. Infatti se la convinzione generale che la velocità della luce era infinita fosse maturata da una serie di osservazioni, Galileo probabilmente non si sarebbe mai sognato di effettuare un esperimento che, sappiamo oggi, era destinato a fallire miseramente.
I problemi tecnici dell'esperimento infatti erano di non poco conto. Intanto la misura del tempo. All'epoca non c'erano i cronometri, e Galileo misurava il tempo riempiendo un secchio d'acqua, e facendoci un buco, in modo da contare quante gocce cadevano attraverso il buco. Una clessidra, in pratica. Assumendo che l'intervallo di tempo fra una goccia e l'altra fosse lo stesso (ipotesi ragionevole, perché quando i rubinetti gocciano di notte, scassano la minchia con frequenza incredibilmente costante), il numero di gocce cadute era proporzionale al tempo passato. Chiaramente le gocce dovevano cadere frequentemente per misurare la velocità della luce. Addirittura Galileo faceva in genere il buco sufficientemente largo da far cadere l'acqua di continuo, e pesare poi il secchio con l'acqua. Il peso (tolto della tara, altro mio contributo fondamentale alla biografia di Galileo) era proporzionale al tempo passato.
L'altro problema era il tempo di reazione dell'amico nel sollevare il telo sulla sua lanterna, e di Galileo stesso nel percepire l'arrivo della luce di ritorno e fermare il "cronometro". Tutte cose che non sarebbero state un problema se la luce avesse avuto la velocità di una Multipla bipower a metano in fase di sorpasso, ma che diventano un problema sperimentale importante per qualcosa che in un secondo percorre quasi la distanza fra la terra e la luna.
Il risultato è che Galileo non riuscì a misurare la velocità della luce, perché i tempi di reazione erano di gran lunga dominanti sul tempo che la luce impiegava a percorrere il tragitto di andata e ritorno. Se Galileo avesse avuto un laser, o una sorgente di luce molto collimata, avrebbe potuto sbarazzarsi dell'amico e del suo tempo di reazione puntando il raggio di luce su uno specchio, ma in ogni caso non sarebbe cambiato nulla dal punto di vista pratico, perché la luce impiega solo 3 milionesimi di secondo a percorrere la distanza di un chilometro. Decisamente troppo poco rispetto ai tempi di reazione umani.
Al limite Galileo avrebbe potuto mettere un limite inferiore alla velocità della luce, ovvero dire: "non so quanto va veloce la luce, ma sicuramente va più veloce di tot, perché altrimenti ne avrei misurato la velocità". Che è poi quello che sostanzialmente fece, perché non se la sentì di dire che la luce aveva una velocità infinita, come invece tutti affermavano, manifestando anche in questo caso di aver compreso fino in fondo lo spirito del metodo scientifico (d'altra parte lo aveva inventato lui!), secondo il quale assegnare velocità infinita alla luce in un esperimento che non ha la sensibilità sufficiente per effettuare la misura è un'operazione assolutamente arbitraria e non giustificata.
In pratica, assumendo un'incertezza dovuta al tempo di reazione totale di 0,3 s (0,2 per l'amico, e 0,2 per Galileo, sommati in quadratura, per fare i precisini), e volendo fare una misura precisa al 20% (trascurando tutti i problemi legati alla misura del tempo col secchio), Galileo avrebbe dovuto piazzare l'amico più o meno dalle parti della luna. Un po' scomodo per l'epoca. Peò il solo fatto che egli ci abbia provato rappresenta dal punto di vista concettuale una importante conquista nello studio dei fenomeni naturali.
Ma oggi, nel 2016, ognuno può essere Galileo, e misurare la velocità della luce con un esperimento casalingo che sicuramente non ci farà passare alla storia, ma ci farà sentire scienziati almeno per un giorno. "You can be Galileo, just for one day". Misurare la velocità della luce col forno a microonde di casa!
Tutto quello che ci serve è un forno a microonde (ma va?), un righello, e una tavoletta di cioccolata.
I forni a microonde cucinano emettendo microonde (ma va?), che sono onde elettromagnetiche come la luce visibile usata da Galileo, ma con frequenza di 2.45 GHz, cioè grosso modo 100000 volte inferiore della luce visibile. Le onde elettromagnetiche di questa frequenza pongono in rotazione le molecole d'acqua contenute nei cibi (e non in oscillazione come spesso si dice, perché la frequenza di oscillazione è circa mille volte maggiore). In pratica le molecole d'acqua, che sono assimilabili a piccoli dipoli elettrici, si mettono a ruotare avanti e indietro attorno al loro asse sotto l'effetto del campo elettromagnetico oscillante all'interno del forno, e nel fare questo comunicano calore al cibo per attrito.
L'idea alla base della misura della velocità della luce è molto semplice: bisogna misurare la lunghezza d'onda delle onde nel microonde. Il segreto è fare in modo che il piatto del microonde non ruoti, e di metterci sopra un cibo che cuocendosi si ammorbidisca. Il motivo sarà chiaro fra poco. Per questo scegliamo come cibo la tavoletta di cioccolato. La marca è irrilevante, ma suggerisco di sceglierla buona, perché poi dopo ce la mangeremo, sacrificandola nel nome della scienza. Un raro esempio in cui, finito l'esperimento, uno si può mangiare l'apparato sperimentale.
Le onde prodotte dal microonde sono di tipo stazionario, cioè gli estremi dell'onda sono vincolati agli estremi del forno, dove il campo deve essere quindi nullo. Questo significa in pratica che le dimensioni del microonde non possono essere arbitrarie, ma devono essere un multiplo di metà della lunghezza d'onda. Essendo la frequenza del microonde fissata, l'onda avrà quindi i suoi picchi e valli (ovvero i suoi punti di massima ampiezza e intensità) in punti ben determinati, e in quei punti la cioccolata si ammorbidirà di più scaldata dall'onda (e quindi, sciogliendosi grazie al calore, quei punti saranno ben visibili). Ecco perché il piatto non deve girare. Nel microonde i piatti vengono fatti girare per garantire una più uniforme "illuminazione" del cibo che vogliamo cuocere, che altrimenti cuocerebbe molto nei punti dove l'onda ha la massima intensità, e molto meno dove ha il minimo dell'intensità.
Adesso non ci resta altro che tirare fuori la tavoletta di cioccolata e, trattenendo l'impulso di mangiarcela, misurare prima con un semplice righello la distanza fra i baricentri (stimati più o meno a occhio) dei punti dove la cioccolata si è ammorbidita di più. Quella distanza corrisponde alla distanza fra un massimo e un minimo dell'onda, ovvero mezza lunghezza d'onda. Quindi adesso raddoppiamo quel numero che abbiamo misurato (un'operazione matematica facile persino per uno sciachimista) e quello che abbiamo misurato è la lunghezza d'onda dell'onda elettromagnetica di frequenza 2.45 GHz del nostro microonde.
Siccome la frequenza f e la lunghezza d'onda lambda di un'onda sono legate alla velocità dell'onda v (che nel nostro caso è la velocità della luce, in genere indicata con c) dalla formula:
c = lambda x f,
mettiamo dentro i numeri e ricaviamo c.
Facciamo la prova sul serio: la distanza fra i baricentri delle due bolle sciolte è di 6 cm, con un'incertezza di grosso modo mezzo centimetro. Quindi la lunghezza d'onda, che vale il doppio, dalla nostra misura viene 12 cm con un'incertezza di +/- 1 cm. Da cui, moltiplicando per 2.45 GHz, viene fuori c(misurata) = 294000000 m/s con un'incertezza dell'8%. Il valore di riferimento della velocità della luce è, al momento, di 299792458 m/s.
Tutto sommato niente male, alla faccia di Galileo!
Nota: Galileo fa parte di quella ristrettissima cerchia di persone famose che vengono chiamate solo per nome, e pur senza aggiungere il cognome nessuno ha dubbi sulla loro identità. Gli altri che godono di questa speciale proprietà sono Michelangelo, Raffaello, Napoleone e Belen.
PS. In rete si trovano decine di siti che in italiano o in inglese, via testo o tramite video, descrivono in dettaglio questo tipo di esperimento molto meglio di quanto abbia fatto io. Cito ad esempio questo bel sito in italiano.