La domanda che può trasformare un tranquillo scienziato in un assassino psicopatico.
Mi piace parlare di scienza, e forse si era capito. Parlare di scienza con i non addetti ai lavori è interessante, perché ti obbliga ad essere consapevole di cosa interessa alla gente, e a sforzarti di conoscere le modalità con cui comunicare al pubblico in modo efficace. Parlare di scienza è interessante anche perché poi ti fanno le domande, e le domande danno il polso della percezione che ha il pubblico della scienza stessa. Certe volte, anche se mal poste, comunicano l'entusiasmo, a volte insospettato, che tanti hanno per la scienza, anche non conoscendo quasi nulla di questa disciplina.
Ma c'è una domanda che temo più di tutte. Una domanda che voglio evitare come la peste, e che cerco di anticipare io, perché non voglio che me la chiedano.
E' una domanda che arriva in genere dopo che hai raccontato per un'ora come si fa a studiare le particelle elementari, o le caratteristiche dell'universo primordiale, e dopo che hai cercato di affascinare il pubblico con qualche grande enigma della natura, tipo la ricerca della materia oscura. Tipicamente a questo punto qualcuno alza la mano e ti chiede: "ma in pratica questa ricerca cosa porterà di utile?".
A quel punto senti la botta di adrenalina che ti arriva al cervello e ti fa perdere lucidità, e il senso di impotenza che ti prende al collo, come quando sei vittima di qualche palese sopruso, tipo quando, mentre sei fermo in colonna in autostrada, arriva il furbo col Porsc Cojon che supera tutti nella corsia di emergenza. E a quel punto, non avendo purtroppo per le mani un fucile mitragliatore, il primo istinto è quello di andarmene gridando alla platea "andatevene tutti af-fan-cu-lo!".
Ma siccome io fuori della mia mente sono più mansueto del lupo di Gubbio, quando mi fanno questa domanda (e succede spesso) faccio finta di niente, sorrido all'interlocutore con lo stesso sorriso di Jack Nicholson a Wendy-tesoro, e spiego con la calma di un monaco tibetano che tutta la ricerca di base serve, anche se non sempre è prevedibile come potrà essere applicata, e che nessuna delle invenzioni che hanno sconvolto il mondo sarebbe mai stata possibile senza la ricerca di base. E quindi parlo del web, inventato per facilitare gli esperimenti di fisica senza avere la minima idea di come sarebbe stato utilizzato in seguito, e spiego che la ricerca di base produce anche competenze, che sono importanti in una società moderna, e che la ricerca di base produce anche lavoro, etc etc, sciorinando tutto il campionario di esempi. Se vi interessano questi esempi, e se avete dubbi sull'importanza della ricerca di base, o sul fatto che prima o poi qualcosa di utile lo produce, potete leggere ad esempio qui, qui, qui o qui.
Ma a parte questo, la cosa che veramente mi lascia depresso ogni volta che sento questa domanda, è che ci sia gente che si pone questa domanda! Che nel 2017 gente che ha il tablet in mano, la prenotazione per la risonanza magnetica in tasca, la connessione veloce con "la fibra" in casa, il gps in macchina, il laser per il compact disc e il microchip sotto pelle (...) si chieda a cosa potrà mai servire in pratica la ricerca di base. Come se tutte queste cose siano nate per caso: uno si è svegliato la mattina, ha cominciato a pistolare con del gas e tutto d'un tratto è venuto fuori un raggio laser.
E stiamo parlando di gente che è istruita, che ha studiato, laureata, mica semianalfabeti! Qualche giorno fa questa identica domanda me l'ha posta un amico laureato in legge. Una volta me l'ha posta un ingegnere elettronico. E era sinceramente stupito di apprendere che lo scopo di tanti esperimenti comunemente chiamati "scientifici" non sia quello di scoprire la cura del cancro o un cellulare che non si scarica mai, ma semplicemente quello di capire come funziona la natura. Lui non lo sapeva, e proprio non riusciva a crederci che esistessero esperimenti scientifici che non avevano un fine pratico immediato! Un ingegnere elettronico, capito?! Uno che se certa gente non avesse perso tempo per decenni con la meccanica quantistica e le funzioni d'onda, sarebbe disoccupato! Anzi, non sarebbe nemmeno esistito il suo corso di laurea! Un ingegnere elettronico, che si è fatto un mazzo tanto per anni e anni sui libri, che si chiede candidamente a cosa può servire la ricerca di base, e che si stupisce perfino che possa esistere questo tipo di ricerca! Mio padre, che era arrivato all'avviamento in un periodo in cui l'Italia veniva bombardata e non c'erano soldi per mangiare, posso testimoniare che non è mai stato lontanamente sfiorato da dubbi di questo tipo. Un ingegnere elettronico di oggi, invece, questi dubbi ce li ha.
C'è qualcosa che non va. Qualcosa che non va nel profondo.
Io penso che l'indice di ignoranza scientifica di un paese si misuri da quanto frequentemente venga posta questa domanda: "ma a cosa potrà mai servire in pratica". L'ignoranza scientifica di un popolo è tutta qui, in questa domanda. Nel fatto che così tanti si pongano questa domanda. Non servono le statistiche Ocse, gli indicatori, etc etc. Basta chiedere alla gente se ritiene che nella pratica studiare una galassia o una particella possa prima o poi tornare utile. Se ha dei dubbi, se tentenna, se ti dice che "boh... forse, ma la ricerca dovrebbe innanzitutto occuparsi di altro", c'è qualcosa che non va.
Se ancora oggi, nel 2017, c'è così tanta gente che di fronte a un seminario su una scoperta scientifica si pone questa domanda, vuol dire innanzitutto che la scuola ha fallito completamente.
A cosa serve far studiare per anni la matematica, la fisica, le scienze, la biologia, a cosa serve far studiare le derivate al Liceo Artistico o le equazioni di Maxwell a Scienze Umane, a cosa servono i problemi con la bicicletta a ruote quadrate, se poi, diventato adulto, al cospetto di una scoperta scientifica la prima domanda che ti sgorga spontanea è "ma in pratica....".
A cosa serve tutta questa "istruzione scientifica" impartita a colpi di verifiche scritte, prove invalsi, ore aggiuntive di scienze, test di velocità, simulazioni di prove di esame che sembrano ideate da extraterrestri, se poi, una volta preso il pezzo di carta, così tanta gente ha questo dubbio di base sulla scienza: a cosa potrà mai servire in pratica"?
La cultura scientifica non è sapere di scienza. Certo, la cosa può aiutare, ma avere cultura scientifica è un'altra cosa. Avere cultura scientifica è comprendere i meccanismi della scienza, il suo modo di procedere e di affrontare i problemi, e avere piena consapevolezza dell'importanza del suo impatto culturale e sociale. Si può non avere idea su come si risolve un esercizio con la bicicletta a ruote quadrate e non sapere cos'è una forza elettromotrice indotta e avere comunque una profonda cultura scientifica, e soprattutto avere piena consapevolezza dell'importanza della scienza, tutta la scienza, nella società. Si può avere fatto anche solo l'avviamento e non sognarsi neanche di chiedersi "ma a cosa potrà mai servire in pratica".