mercoledì 14 dicembre 2016

False credenze in medicina: quando il medico ci mette il carico

Certe volte ti chiedi: ma certi medici....!!!


La storia che il vaccino trivalente Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR) causerebbe l'autismo è una bufala ben nota. La vicenda, narrata ad esempio qui, è quella di una frode scientifica, perpetrata da un medico, Andrew Wakefield, che aveva costruito false prove scientifiche a favore di questa tesi per puri interessi economici personali. Andrew Wakefield, a seguito di questa vicenda, è stato radiato dall'ordine. Nonostante ciò, la storia viene costantemente proposta dagli antivaccinisti (e ripresa dai media) come uno dei principali motivi per opporsi alle vaccinazioni, o quantomeno per guardarle con sospetto.

E a fronte di cose del genere c'è chi, per cercare di educare, di insegnare a diffidare dai ciarlatani, di sensibilizzare verso una corretta informazione, di diffondere il metodo e l'approccio scientifico, organizza conferenze, scrive sui blog, sui giornali, va nelle scuole, in tv, nei talk show, e si sbatte nei modi più disparati, perché in fatto di salute le false credenze possono essere pericolose.

Mi riferisco ad esempio a gente come Salvo Di Grazia, alias Medbunker, o il virologo Roberto Burioni, solo per fare alcuni nomi noti al pubblico, che nel tempo libero si prodigano per diffondere una corretta informazione nel loro settore, quello medico. E quindi ti immagini che i medici, tutti i medici, soffrano dell'esistenza di gente che millanta di avere scoperto fantasiose quanto inesistenti terapie, e siano fortemente infastiditi dalle bufale che circolano e si moltiplicano nel loro campo, e guardino con preoccupazione il dilagare di tutto ciò che non ha solide basi scientifiche in un settore importante come la Salute Pubblica (il maiuscolo è d'obbligo).

Poi però un giorno scopri, durante un corso di primo soccorso, che il medico che tiene la lezione se ne esce dicendo che con le vaccinazioni bisogna andarci piano, perché ad esempio è ben dimostrata la correlazione fra vaccino trivalente e autismo. E quando gli fai invece presente come è andata la storia, cosa che mai avresti immaginato di dover fare con un medico (anche perché dover spiegare a un medico - tu che sei tutt'altro - cose di medicina, non so a voi ma a me mette un po' in imbarazzo), ti rendi conto che questo medico tutto sommato la storia, quella vera, non la conosceva affatto, e come tanti aveva sentito dire che il vaccino trivalente causa l'autismo. E alla fine, quasi imbarazzato, si giustifica che sì, forse... ma non è detto, e che insomma... coi vaccini comunque è meglio andarci cauti, ecco! Un tot di malattie dalle complicanze gravi ma che adesso non ci preoccupano più, liquidate con un semplice "coi vaccini è meglio andarci cauti".  Detto da un medico. Uno che tiene lezioni di pronto soccorso. Uno che ti spiega come salvare la gente.

E poi capita che parli con una tua conoscente che è guarita da un cancro, che ti racconta che il suo oncologo le consiglia tutti gli anni, in autunno, di fare un ciclo di Oscillococcinum, lo zuccherino più costoso al mondo, a scopo preventivo, per rinforzare le difese immunitarie, lei che il vaccino anti-influenzale non lo può fare. L'oncologo. Non il suo estetista, il suo oncologo!

E poi un giorno una tua collega ti dice che il pediatra di suo figlio prescrive normalmente rimedi omeopatici, e poi, casomai non funzionino (a volte capita!) passa agli antibiotici. Il pediatra. Un medico anche lui.

E poi, chiacchierando col tuo medico di base, scopri che nei confronti dell'omeopatia lui è sostanzialmente agnostico. Non è a favore, per carità, e infatti non la prescrive. Però non è che specifica che è una cosa che dal punto di vista scientifico non ha alcun senso. Anzi, ti dice che non la conosce, ma che alcuni dicono che in certi casi funzioni...  Come se un astrofisico ti dicesse che lui non se ne occupa, però dicono che i nati in Sagittario con Saturno nella Vergine...

E poi leggendo qua e là scopri che in una AUSL di Bologna c'è un medico, psicologo, direttore dell'UOC di Psicologia Clinica Ospedaliera, che asserisce in un'intervista quotata nella stessa pagina web della AUSL (fonte) di curare i pazienti usando l'entaglement quantistico. L'entaglement quantistico, quella cosa su cui i fisici fanno esperimenti con singoli fotoni, li fanno passare attraverso gli specchi, li fanno rimbalzare, passare attraverso le fenditure e i polarizzatori per capire come funziona la meccanica quantistica lui, il medico, lo usa già per curarti la depressione, l'ansia, le crisi di panico e l'insonnia. I fisici riescono a creare stati entangled solo fra due singole particelle subatomiche opportunamente preparate, e se non prendono mille precauzioni va tutto in vacca, mentre il nostro medico della AUSL lo usa già tranquillamente su umani di 90 chili. Evidentemente non sapere niente di fisica in certi casi aiuta. Che ti viene da dire "ma cosa sto a sbattermi facendo esperimenti che fanno diventare scemi da quanto sono delicati: chiudiamo i laboratori di fisica e andiamo da questo qua e facciamoci spiegare tutto da lui!".

E poi un bel giorno leggi che l'Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Bologna fornisce il patrocinio a un congresso organizzato dalla Fondazione Di Bella che prevede, oltre ad un intervento dello stesso Di Bella, anche una relazione di un sedicente "fondatore della semeiotica biofisica quantistica". E se provi a chiedere chiarimenti ti viene risposto che (copio-incollo dalla loro risposta): "l'Ordine ha inteso sostenere quanto proposto nel programma da docenti di sicura onorabilità e valore scientifico e non si vede per quale motivo (..) questa manifestazione non doveva essere sostenuta". Come se a un congresso di biologia dell'evoluzione invitassero uno che fa una relazione su come gli animali si sono moltiplicati appena usciti dall'Arca di Noè, e se gli chiedi spiegazioni gli organizzatori ti rispondessero "embe? cosa c'è di strano?".

E un altro bel giorno impari che l'Ordine dei medici di Genova ospita un convegno sull'omeopatia (fonte), che servirà, unendo l'utile al dilettevole, per accumulare crediti formativi ai medici che vi parteciperanno. Come se l'Unione Astronomica Italiana organizzasse un corso di tarocchi per radioastronomi, che poi quelli dell'Anvur addetti alla valutazione ne tengono conto se vai a fare il concorso da associato. L'ordine dei medici di Genova si indigna per le critiche che gli piovono addoso, e risponde (fonte) che l'omeopatia è scienza a tutti gli effetti.  Ed è talmente scienza che al convegno in questione viene invitato a relazionare anche un sedicente ricercatore in "fisica dell'acqua", che millanta collaborazioni con il CNR (ma il CNR smentisce categoricamente di conoscerlo), responsabile della società Freebioenergy, promotrice di un prodotto che sarebbe in grado di rendere l'acqua "biodisponibile" grazie ovviamente alla solita meccanica quantistica (vedi nota a piè pagina). Tanto per dire il livello, il sito relativo al prodotto commerciale che renderebbe l'acqua biodisponibile (perché alla fine di questo si tratta, vendere qualcosa, altro che scienza!) mi viene perfino bloccato dall'antivirus che mi avverte che contiene "contenuti malevoli".


E allora ti chiedi: ma che senso ha sbattersi per cercare di fare corretta divulgazione scientifica, insegnare l'approccio razionale ai problemi, informare correttamente per distinguere il vero dal falso o dal sentito dire, se poi proprio gli stessi medici, in campo medico, se ne escono con cose del genere? 

Se scopri che tra i medici stessi con l'omeopatia c'e chi ci organizza corsi per guadagnare crediti formativi, o che addirittura la prescrive per rinforzare il sistema immunitario, ti chiedi: "contro chi sto "combattendo"? Che ci stanno a fare  Medbuker o Roberto Burioni, se poi certi loro colleghi sui vaccini ragionano come Red Ronnie? Hai voglia a fare conferenze e andare nelle scuole se poi il presidente dell'ordine dei medici ti dice, a fronte di una conferenza che parla di semeiotica biofisica quantistica: "beh, cosa c'è che non va?".

Già, la meccanica quantistica! Parliamone, poveraccia! Il passepartout usato dai fuffari del nuovo millennio per sdoganare qualunque idiozia, e farci possibilmente dei soldi. Cose che prima non avrebbero convinto neanche Stanlio e Ollio, oggi, col termine "quantistico" appiccicato addosso, vengono spacciate dai ciarlatani come l'ultimo ritrovato in fatto di terapie mediche.

Ora... voglio essere buonissimo, visto che sta arrivando il Natale, e voglio pensare che non ci siano meschini interessi economici dietro, quando un medico, di fronte al termine "quantico" usato alla stracazzo, ci casca. E nella mia immensa bontà posso anche capire che un medico non sappia nulla di meccanica quantistica. Non è obbligato a saperne, come io, che faccio il fisico, nel mio mestiere sono autorizzato a non sapere niente di chirurgia vascolare o di endocrinologia. Però, santo cielo! Quando leggi di uno che con la meccanica quantistica rende l'acqua "biodisponibile" e ci cura la gente - con l'acqua! - e va a presentare a un congresso inerente la TUA materia, un congresso medico, tu che sei un medico, e in 5 anni di medicina più la specializzazione un termine del genere non l'hai mai sentito pronunciare, non ti viene il dubbio di chiederti: "ma cosa diavolo significa semeiotica biofisica quantistica?" E se non sai risponderti, e se veramente non hai alcun interesse economico dietro ma sei veramente lo scienziato che dici di essere, non ti viene in mente di prendere su un telefono e chiamare un dipartimento di fisica per chiedere se questa roba abbia un senso? 


NOTA: In realtà esiste una collaborazione tra CNR-ISPA e Freebioenergy, come evidenziata da questo link.  Si tratta di uno studio dell'effetto di opportune onde elettromagnetiche sugli agenti patogeni delle pere coscia, al fine di migliorarne la conservazione dopo il raccolto. La relazione tra i risultati di questo test e gli eventuali effetti quantistici dell'acqua è tuttavia assolutamente arbitraria, sebbene gli autori la vogliano sottintendere.

martedì 6 dicembre 2016

Risposta (scientifica) del perché la fetta cade sempre dalla parte della marmellata

Finalmente svelato l'ultimo grande enigma della natura!


E' capitato a tutti. Stai spalmando la Nutella sulla fetta di pane, hai deposto con cura uno strato bello denso e uniforme, pregusti il momento in cui la addenterai, ma ecco che basta una piccola distrazione che le dita perdono la presa e la fetta cade e si spatacca sulla tovaglia, o peggio per terra, dalla parte sbagliata. Inevitabilmente, sempre dalla parte sbagliata!

Sembra una congiura, un momento che la sfiga aspetta per manifestare la sua esistenza, la glorificazione della legge di Murphy. Una di quelle cose che dici "ma possibile che mai una volta, almeno una, non cada dal verso giusto? Possibile che vada sempre a finire così?". Perché ingenuamente uno potrebbe pensare che le probabilità che la fetta cada a pancia sopra o a pancia sotto siano 50 e 50, come per il lancio di una moneta, e quindi se cade sempre dalla parte sbagliata sia solo una questione di sfiga. E invece...

Innanzitutto sgomberiamo subito il campo da possibili dubbi: non è colpa dell'olio di palma contenuto nella Nutella. Test effettuati sul campo mostrano che il fenomeno si ripete identico anche con le varianti della Nutella senza olio di palma, e anche con la marmellata, il burro, il paté di olive, etc. Non solo, ma avviene anche senza niente! Una fetta di pane, come se sapesse che deve assolvere al suo compito perverso di farti incazzare di prima mattina, se ti sfugge di mano, anche se non ci hai spalmato niente sopra, si gira e cade sempre dalla parte sbagliata.

In rete si trova un divertente video che associa il potere della fetta di pane imburrata di cadere sempre dal lato imburrato, con la capacità dei gatti di cadere sempre sulle zampe. Il risultato è un sistema per produrre energia illimitata. Si prende un gatto, gli si lega una fetta spalmata di qualcosa sulla schiena e lo si lascia cadere tenendolo per le zampe. Il gatto vorrà girarsi per cadere di zampe, ma la fetta vorrà cadere dal lato spalmato obbligando il gatto a cadere di schiena. Il risultato è che il sistema gatto-fetta si metterà a ruotare vorticosamente senza cadere, incapace di prendere una decisione. A questo punto un bravo ingegnere saprà certamente sfruttare questo inaspettato regalo della natura per risolvere finalmente in modo definitivo il problema energetico mondiale. Il video è visionabile qui

Allora cerchiamo di capire perché una fetta di pane cade sempre dalla parte sbagliata. Mi scuso se ogni tanto scenderò sul tecnico con qualche formula. Spero che risulterà sufficientemente indolore. Il risultato sarà comunque la soluzione a un mistero sul quale nemmeno Hawking ha mai osato cimentarsi. Infatti avete mai visto libri di Hawking sul mistero delle fette che cadono sempre dalla parte spalmata? Ha scritto su tutto, sul tempo, sui buchi neri, sul big bang, ma sul pane imburrato mai. Un motivo ci sarà!


La premessa doverosa è che in quello che segue occorre fare delle assunzioni, delle semplificazioni  e delle schematizzazioni del problema. A questo punto prevedo che qualcuno molto più nerd di me potrà storcere il naso, e salterà fuori dicendo "eh, ma non hai considerato questo e quello, l'attrito dell'aria, l'attrito delle dita, la forma della fetta di pane, l'impulso del coltello, la marca della marmellata etc etc". In problemi del genere si possono aggiungere tutte le complicazioni possibili, e in rete si trovano risposte a questo problema che mostrano che la nerdità di certi esseri umani può raggiungere livelli decisamente patologici. Ricordo però che qualunque calcolo scientifico, qualunque previsione teorica, in qualunque campo, si basa SEMPRE su assunzioni, schematizzazioni e semplificazioni del problema. La natura è troppo complicata per pensare di risolvere in modo rigorosamente esatto i problemi reali. D'altra parte se Galileo non avesse ragionato in questo modo starebbe ancora lì a trappolare con le sferette e i piani inclinati chiedendosi come mai la pallina di legno di quercia cadeva un filo diversa da quella di acero. L'importante è che le schematizzazioni tengano conto dei fattori rilevanti.

Innanzitutto, il fatto che la fetta cada dalla parte sbagliata (intesa come la parte su cui spalmeremmo la marmellata)  anche se non c'è niente di spalmato, ci dice che l'effetto non è dovuto al sottile strato di marmellata o che altro che rende asimmetrica la fetta. Si potrebbe pensare che questo sposterebbe il baricentro della fetta verso il lato spalmato, creando un'asimmetria che faciliterebbe la caduta da quel lato, come quei fermacarte che hanno il peso verso la base, per cui comunque li fai oscillare ritornano verticali. Ma nel caso della fetta l'effetto è, anche alla luce dei fatti, talmente piccolo da essere del tutto trascurabile.

Altro punto cruciale è che la fetta, se abbiamo cura di lasciarla cadere di piatto, cade effettivamente di piatto. Non si gira da sola violando le leggi della fisica. Sarebbe stata una scoperta fantastica, ma dobbiamo farcene una ragione: anche una fetta di pane segue le leggi della natura come tutto il resto. 
 
Quindi affinché la fetta di pane ruoti e cada dalla parte sbagliata facendoci prorompere in gioiose esclamazioni, è necessario che ad essa si impartisca inizialmente un momento della forza, in modo da farle acquisire un momento angolare (detto anche momento della quantità di moto) che la farà ruotare.

A questo punto il nocciolo del problema è stimare la velocità di rotazione che può acquisire la fetta mentre ci sfugge di mano, e confrontare quanto tempo impiega la fetta a cadere sul piano sottostante (tavolo o pavimento) rispetto al tempo che impiega a fare mezzo giro. Il punto è tutto qui. Bisogna stimare quanti giri fa la fetta mentre cade, per capire come cade, se di pancia o di schiena. Se cade sempre di pancia potrebbe voler dire che nell'intervallo di altezze da cui una fetta imburrata può ragionevolmente cadere mentre ci accingiamo a mangiarla (da 20 cm a 1 m, grosso modo) non c'è modo per la fetta di girarsi in tempo, data la sua possibile velocità di rotazione iniziale. Vogliamo vedere se questa ipotesi ha senso.

E come fa una fetta ad acquisire momento angolare e mettersi a ruotare? E' semplice: questo avviene perché quando ci sfugge di mano noi la stiamo tenendo da un lato, e dall'altro stiamo spingendo col coltello per spalmare la marmellata. Se la nostra presa con le dita non è ben salda, la forza di gravità fa ruotare la fetta sull'asse che unisce le nostre dita, creando un momento della forza. Il risultato è che la fetta acquisisce una velocità angolare che prima non aveva, ovvero acquisisce momento angolare. 

Il problema si schematizza come nel disegno qua sotto.

La forza peso, di modulo F=mg (m è la massa della fetta, g è l'accelerazione di gravità, 9.8 m/s**2), che possiamo pensare applicata al baricentro della fetta, fa ruotare la fetta di pane che possiamo immaginare imperniata sulle dita della mano a uno dei suoi estremi, imprimendo una velocità angolare alla fetta stessa. Siccome abbiamo assunto una fetta di pane quadrata, L è metà del lato della fetta stessa. Supponiamo, per fissare le idee, che la fetta ruoti per 30 gradi e poi ci sfugga di mano.

Per calcolare la frequenza di rotazione della fetta possiamo usare la conservazione dell'energia. Infatti l'energia potenziale iniziale della fetta, pari a U(pot)=mgL*0.5 (0.5 viene dal fatto che la fetta ruota solo per 30 gradi, essendo sen30=0.5), si trasforma in energia cinetica di rotazione, che vale E(rot) = 0.5*I*w**2.

Il termine I è il momento di inerzia della fetta di pane rispetto all'asse di rotazione, mentre w (leggi "omega") è la sua velocità angolare, che vale 2*pigreco/T, dove T è il tempo necessario per fare una rotazione completa. E' fisica da liceo. Il momento di inerzia è una grandezza che sostanzialmente descrive la distribuzione delle masse dell'oggetto che vogliamo far ruotare, rispetto all'asse di rotazione. Ad esempio quando una pattinatrice che fa la piroetta a braccia allargate raccoglie le braccia al petto, riduce il suo momento di inerzia (avvicina le masse all'asse di rotazione), e di conseguenza, per la conservazione del momento angolare (che vale I*w), ruota più velocemente. Nel caso della fetta di pane potremmo prendere la formula esatta del momento di inerzia per un parallelepipedo con due lati uguali e un terzo (lo spessore) più sottile per fare le cose precise, ma per semplificare possiamo assumere che la massa della fetta sia  tutta concentrata nel baricentro, e in questo caso il momento di inerzia vale I=m*L**2. Se facessimo i calcoli precisi verrebbe un momento di inerzia un po' diverso, ma il risultato, per quello che riguarda il nostro calcolo, sarebbe marginale. Tutti i calcoli supernerd che si trovano in rete differiscono alla fine di pochissimo dal calcolo "on the back of an envelope" che stiamo facendo.

Quindi mettiamo adesso un po' di numeri e calcoliamoci omega. La massa della fetta possiamo ignorarla, perché tanto alla fine m si semplifica via, e il risultato ne è indipendente. Supponiamo invece che la fetta sia lunga 10 cm, ovvero L=5 cm = 0.05m. Mettiamo tutto nella formula che ci da omega, mettiamo il giusto valore per l'accelerazione di gravità g, e viene fuori che w è circa 14 radianti al secondo, ovvero un giro completo in 2*pigreco/w secondi, cioè 45 centesimi di secondo.

A questo punto, quando la fetta è inclinata supponiamo a 30 gradi rispetto all'orizzontale, cioè ha compiuto un dodicesimo di giro a causa della rotazione imposta dal momento della forza, la fetta ci cade di mano. E' una schematizzazione, si può pensare che la fetta cada di mano un po' prima o un po' dopo, ma alla fine non cambia poi molto.

Quindi abbiamo in questo istante una fetta che sta ruotando con velocità angolare w di circa 14 radianti al secondo, che ha già effettuato un dodicesimo di giro, e che adesso inizia a cadere per effetto della forza di gravità, continuando ovviamente a ruotare, perché il momento angolare che ha acquisito a questo punto non glielo toglie più nessuno (stiamo trascurando l'attrito dell'aria).

Quello che ci interessa calcolare è quanto tempo ci mette la fetta per arrivare a terra, o comunque alla superficie sottostante, e confrontare questo tempo con la sua frequenza di rotazione, per vedere se in questo tempo essa si presenterà a faccia in su o a faccia in giù.

Il problema è tutto qui. Vedere se la fetta riesce a ruotare a sufficienza in modo da cadere con la parte imburrata rivolta verso l'alto prima di impattare con la superficie che le sta sotto, evitando di scatenare in noi uno spontaneo istinto verso il turpiloquio improvviso.

Ma quanto tempo impiega una fetta a cadere, se lasciata libera? Facile: la fetta cade per effetto della forza di gravità di moto uniformemente accelerato, e la legge oraria del moto uniformemente accelerato per un corpo che parte da fermo ci dice che in un tempo t l'oggetto percorre in caduta uno spazio s pari a s=0.5*g*t**2. Unmezzo-gi-tiquadro.

E quindi il tempo di caduta vale t = sqrt(2s/g) (sqrt è la radice quadrata).  Il tempo impiegato per cadere cresce con la radice quadrata dello spazio percorso. Quindi- importantissimo questo - a causa di quella radice quadrata il tempo impiegato a cadere aumenta lentamente rispetto allo spazio percorso! Ad esempio se lo spazio fra le nostre mani e il tavolo è di 30 cm (uno spazio ragionevole), la fetta cade in meno di 25 centesimi di secondo. Ma se invece di avere il tavolo sotto di me ho il pavimento, quindi diciamo un metro di caduta, il tempo impiegato dalla fetta per cadere non è il triplo, ma soltanto 45 centesimi di secondo. Se fossimo in cima a una scala, a due metri da terra, il tempo di caduta sarebbe solo 60 centesimi di secondo. Il motivo è ovviamente che mentre cade la fetta accelera, cioè aumenta la sua velocità.

A questo punto confrontiamo i tempi di caduta con la velocità con cui ruota la fetta. Siccome la fetta fa un giro completo in 45 centesimi di secondo, vuol dire che entro grosso modo 10 centesimi di secondo da quando ci è sfuggita di mano essa si trova già in posizione verticale. Da li in poi, fino a che non avrà compiuto un altro mezzo giro, essa si troverà con la marmellata rivolta verso il basso. In meno di 10 centesimi di secondo il baricentro della fetta è caduto di appena 5 cm. Questo vuol dire che se la fetta ci sfugge di mano anche solo appena sopra il tavolo, siamo certi che cadrà comunque dalla parte sbagliata! E abbiamo visto che la fetta continuerà ad essere dalla parte sbagliata per un altro mezzo giro, ovvero altri 30 centesimi di secondo, cioè circa 40 centesimi di secondo da quando ci è sfuggita di mano.  In questo tempo la  fetta percorrerà, cadendo, quasi 80 cm, che è grosso modo la distanza che c'è fra tavolo e pavimento. Se poi ci aggiungiamo un leggero frenamento iniziale della rotazione dovuto alla resistenza delle nostre dita mentre la fetta inizia a ruotare, avremmo un valore di omega inferiore a quello che abbiamo calcolato assumendo che non ci fosse attrito, e quindi un periodo di rotazione maggiore, con conseguente aumento della distanza di caduta lungo la quale la fetta con certezza cadrà dalla parte sbagliata.

Conclusioni, per chi si dovesse essere perso fra i vari numeri: se la fetta cade sempre dalla parte della marmellata non è per sfiga, ma perché la fetta di pane segue, come tutto il resto, le leggi della fisica. Queste leggi ci dicono che, quando la fetta ci sfugge di mano ruotando su se stessa, essa non avrà tempo a sufficienza per girarsi in modo da cadere a pancia all'aria, se la superficie che le sta sotto è distante da pochi centimetri ad almeno un metro. Ovvero proprio la distanza che separa la fetta dal tavolo o dal pavimento. E quindi la nostra fetta non può far altro che cadere con la parte spalmata verso il basso. E se lungo il suo percorso di caduta dovesse trovarsi il nostro pantalone, il risultato potrebbe trasformarsi in un tripudio di escalamzioni inusuali.

Se stessimo in piedi forse avremmo maggiori possibilità di cavarcela, ma meglio ancora sarebbe in cima a una scala, con le braccia sollevate verso il soffitto. Che è poi il modo in cui fanno colazione i nerd della fisica! L'alternativa - che consiglio caldamente - è quella di spalmare la nutella tenendo la fetta rivolta verso il basso. Certo, è un po' scomodo, e all'inizio richiede un po' di pratica, ma se la fetta dovesse sfuggirci di mano, cadrebbe in quel caso con la parte spalmata rivolta verso l'alto, e cominciare la giornata in questo modo sono soddisfazioni!





venerdì 25 novembre 2016

La mancanza di cultura scientifica

Viviamo in un mondo in cui i prodotti della scienza riempono la nostra quotidianità. Dai gadget elettronici, il gps, il web, senza dimenticare tutto quello che ha a che fare con la medicina. Se una volta la poliomielite era di casa e un'infezione poteva tranquillamente portarti nella fossa, e adesso questo non accade più, non è certo perché semplicemente ci laviamo di più le mani, come certi affermano, ma è piuttosto dovuto unicamente al progredire delle conoscenze scientifiche.

Eppure, nonostante ciò, mai come oggi è diffuso lo scetticismo verso la scienza, e il sospetto verso ciò che le ricerche scientifiche possono portare. Mai come oggi le convinzioni pseudoscientifiche, complice certamente la facile via della rete, si diffondono velocemente e vengono spesso assurte a alternative più credibili e affidabili. Basti pensare alle innumerevoli terapie alternative prive di qualunque costrutto e fondamento scientifico, dal cancro curabile nei modi più fantasiosi al metodo Stamina fino al diabete che si curerebbe con una semplice dieta, senza dimenticare i sedicenti previsori di terremoti, e le convinzioni più strampalate sul funzionamento della natura, dalla biologia alla fisica.

I polmoni d'acciaio per mantenere in vita i malati di poliomielite, in un'immagine degli anni 50, prima dell'introduzione del vaccino antipolio.

La colpa, si dice, è la "mancanza di cultura scientifica", che in Italia sembra essere un problema particolarmente serio e diffuso. La mancanza di cultura scientifica che ci fa preferire le bufale e le fregature alla scienza, perché della scienza non ne capiamo il linguaggio, il metodo, il modo di procedere, mentre il modo di proporsi delle pseudoscienze è per sua natura più diretto, apparentemente meno ambiguo, rassicurante e immediatamente comprensibile, e per questo accattivante. La scienza infarcisce le sue conclusioni con tutti quei "sembra", "è probabile", "non si può escludere", mentre la pseudoscienza non dubita mai (salvo dubitare della scienza) e per questo riscuote facili consensi.

E' vero, sono d'accordo anche io: in Italia manca cultura scientifica. Il problema sorge però quando si prova a proporre una soluzione a questo problema, ovvero cosa fare (o cosa non fare) per diffondere maggiormente la cultura scientifica tra il grande pubblico.

A questo punto non sempre i pareri sono concordi. Il motivo, secondo me, è che non si ha ben chiaro cosa significhi avere cultura scientifica. E invece, per risolvere un problema, normalmente bisogna prima conoscere il problema che vogliamo risolvere. A questo proposito voglio fare un esempio di cui sono stato diretto testimone, che secondo me sintetizza al meglio cosa significhi non avere cultura scientifica.

Anni or sono, nella zona in cui vivo, aveva preso piede vietare, il giovedì e la domenica, l'uso delle auto a targhe alterne in particolari fasce orarie, con l'intento di arginare il problema dell'inquinamento da polveri sottili. Essendo il divieto di usare l'auto una indubbia limitazione, la cosa aveva immediatamente scatenato il dibattito, e i sostenitori e i contrari al provvedimento avevano preso a sfidarsi sulle pagine dei quotidiani locali e nazionali. E quindi si leggevano frasi (cito a memoria) del tipo "è un provvedimento doloroso ma necessario", oppure "non serve perché la causa sono i tir, il riscaldamento, le fabbriche...", con tutte le varie sfumature di opinioni del caso.

Siccome anche il comune in cui abito aveva aderito al provvedimento, le amministrazioni locali avevano organizzato un incontro pubblico per spiegarne le ragioni. E io ero presente. Come prevedibile, si scatenò il dibattito su chi era a favore e chi era contrario al provvedimento. Chi lo riteneva necessario e chi lo riteneva inutile. Ognuno portava le sue motivazioni, tutte apparentemente valide e condivisibili.

Bisogna a questo punto sottolineare che l'Arpa, l'azienda preposta alle misure (tra le altre cose) sulla qualità dell'aria, mette in rete da sempre, giornalmente, le rilevazioni del livello di polveri sottili prese nelle varie centraline, in città e fuori dai centri abitati, per cui è possibile per chiunque, con pochi click, controllare se il provvedimento del blocco del traffico è efficace o meno, per esempio mettendo le misure in un grafico in funzione del tempo, magari correlando centraline in zone dove normalmente c'è traffico con quelle in aperta campagna, che sono ovviamente insensibili al blocco del traffico.  In un paio di dopocena uno si può quindi ricostruire la storia delle polveri sottili della propria città degli ultimi mesi, e magari metterla in relazione alle condizioni meteo giorno per giorno. Io lo avevo fatto.

La cosa strabiliante in tutto questo è che invece nessuno di quelli che avevano una posizione forte sul problema lo aveva fatto. A nessuno era venuto in mente di guardare i dati. Né a quelli che sostenevano convinti l'utilità, anzi la necessità del provvedimento, né a quelli che, con altrettanto ardore, ne indicavano l'assoluta inutilità. Ognuno portava motivazioni e dotti ragionamenti a supporto della propria tesi, ma a nessuno era balenata la cosa più ovvia e scontata: guardare le misure! Siamo così abituati ad anteporre le opinioni ai fatti di fronte a ogni tipo di problema, che ci dimentichiamo persino che possano esistere i fatti. Non siamo abituati ad essere consapevoli che l'opinione su un qualunque problema vale zero di fronte al dato, al numero, alla misura. Numero che a nessuno era venuto in mente di controllare. E è paradossale che nemmeno i più contrari al provvedimento, che spiattellando il grafico sotto il naso dell'amministratore avrebbero vinto a mani basse, avevano avuto l'ardita intuizione di consultare le misure e anteporle alle loro opinioni. La prova evidente di quanto poco siamo abituati ad affrontare i problemi nel modo che invece, nella scienza, rappresenta la norma.

Ecco, questo fatto, a mio parere, sintetizza al meglio cosa significhi non avere cultura scientifica. Non comprendere la differenza fra opinione e dato di fatto e perdere tempo a discutere a colpi di "secondo me" quando le misure, pubbliche, mostrano inequivocabilmente, in questo caso specifico, che il livello di polveri sottili se ne infischia altamente dello stop al traffico, per lo meno attuato con quelle modalità, tra targhe alterne, fasce orarie, euro 3, 4 e 5, permessi speciali e furbetti. Questo fatto secondo me è emblematico dello spirito antiscientifico che ci permea, seppure in modo totalmente inconsapevole. E' il medioevo riportato pari pari nel nuovo millennio. E' il Cardinale Bellarmino di fronte alle immagini del telescopio di Galileo, che antepone le sue convinzioni all'immagine dei satelliti di Giove.

E allora come fare?

Innanzitutto bisogna avere chiaro che la mancanza di cultura scientifica non è, come certi credono, non sapere di scienza. Si può essere studiosi umanisti e avere ugualmente una profonda cultura scientifica. Avere cultura scientifica non è sapere come sono fatti gli atomi o le galassie, i quark, il genoma, o essere esperti di computer. Magari può aiutare, ma non è indispensabile. Avere cultura scientifica significa capire il linguaggio e i metodi della scienza, e far sì che essi appartengano alla nostra cassetta degli attrezzi, sia che si parli di quark, di vaccini o di stop del traffico alle targhe alterne.

Avere cultura scientifica significa possedere la piena consapevolezza che l'opinione deve soggiacere al dato, al numero, e che il risultato delle misure deve guidare l'opinione, e non il contrario. E' l'importanza dei fatti, così ignorata sia quando si parla di scienza che di altri eventi di importanza sociale, politica o culturale.

Avere cultura scientifica significa comprendere il linguaggio della scienza. Ad esempio significa sapere che la scienza non può per sua natura escludere categoricamente che un fenomeno possa avvenire, e quindi non potrà mai dirci "assolutamente sì" oppure "assolutamente no", come invece fanno le pseudoscienze. Ma allo stesso tempo significa comprendere cosa implichi il fatto che un certo fenomeno non sia mai stato osservato. E quindi se leggiamo che nessuno studio evidenzia la nocività dei cellulari questo vuol dire, tanto per capirci, che non si esclude in modo categorico che i cellulari possano essere nocivi, ma allo stesso tempo, se non sono mai stati osservati danni alla salute, allora i cellulari non possono far male così a capocchia come certi invece affermano.

Avere cultura scientifica significa avere la consapevolezza che per fare scienza è necessario avere un bagaglio di competenze e di conoscenze che non si improvvisano. Significa avere ben chiaro che se non si è esperti di un dato settore, e se magari di lavoro si fa tutt'altro, non c'è verso che le nostre opinioni su un tema tecnico/scientifico possano competere con quelle di chi su quel tema ci lavora da una vita. Non basta informarsi, perché per quanto ci possiamo sentire dotti sull'argomento, dobbiamo farcene una ragione: gli esperti, in quanto tali, alle nostre obiezioni ci avevano già pensato da un bel po'.

E allora come incentivarla, come incrementarla, questa benedetta cultura scientifica? Non lo so, o meglio ho alcune idee in proposito, di cui parlerò poi, ma so per certo cosa è inutile, cosa non serve.

Per cominciare, la cosa più inutile per diffondere la cultura scientifica è infarcire i programmi scolastici di nozioni di scienza, dalla fisica moderna alle frontiere della genetica e della biologia, facendo studiare di tutto, fino alle scoperte fatte ieri pomeriggio.

Prendiamo il programma di fisica del liceo scientifico. Sulla carta c'è tutta la fisica, compresa la relatività, la meccanica quantistica, la fisica subnucleare, il Modello Standard, i raggi cosmici e il Bosone di Higgs. Segno evidente che chi ha pensato questi programmi è al massimo un nerd, ma sicuramente non è uno che ha la cognizione di quello su cui ha preso decisioni.

Sì perché per comprendere effettivamente l'importanza della meccanica quantistica o delle recenti scoperte della fisica, ci vogliono basi matematiche e conoscenze approfondite che al liceo non si hanno e non si possono avere. Non solo, ma bisogna avere veramente assimilato nel profondo ciò che chiamiamo fisica classica.  E senza quelle basi matematiche e quel solido background che vorrei chiamare "culturale", la meccanica quantistica e tutto il resto diventano soltanto una lettura alla Focus. Una storiella, dove un giorno i fisici, non si capisce bene perché, hanno deciso che l'atomo si comportava in un certo modo etc etc.  Una storiella magari anche interessante, ma niente di più di un'ulteriore nozione.

Non è quindi forse meglio fare meno, ma farlo meglio, e far approfondire non i dettagli e i chiacchiericci, ma i concetti fondamentali, ma soprattutto l'approccio ai problemi? Quei concetti che invece vengono sorvolati perché il target primario è riuscire a finire un programma vasto in modo ridicolo? L'acquisire cultura scientifica passa innanzitutto attraverso il ragionamento, e non il sapere la favoletta sull'elettrone che non riesci a localizzarlo, e il ricordarsi a memoria la formula dell'energia dell'atomo di Bohr o le trasformazioni di Lorentz. E' inutile fare tonnellate di esercizi di fisica se poi nessuno ti fa notare il fascino della fisica. Sarai bravo a fare gli esercizi (ma in realtà non lo sarai mai abbastanza), ma non avrai capito la fisica, e la logica che ha portato a costruire le leggi della natura come le conosciamo.

E infine, per capire come funziona la scienza, bisogna fare tonnellate di laboratori. Solo misurando, non importa cosa, ma misurando e ragionandoci poi sopra assieme, discutendo sulle scelte, sulle approssimazioni, su cosa influisce sulla precisione della misura, si capisce come funziona la scienza. Lo scopo del laboratorio non deve essere quello di fare una bella relazione, ma di capire il metodo. Secondo me, almeno per i primi due anni del liceo, fisica dovrebbe essere soltanto laboratorio! Lo spirito critico, che è alla base della cultura scientifica, si sviluppa sbattendo il naso con il problema di misurare qualcosa quando ci sono tanti fattori che remano contro, che mescolano le carte, e fare misure in laboratorio è l'unico modo.

E infine un suggerimento che potrà sembrare apparentemente fuori luogo, ma di cui sono straconvinto, su come sviluppare il ragionamento e lo spirito critico, che è l'ingrediente fondamentale della cultura scientifica: riscoprire, fin dalle elementari, la scrittura! I temi, i riassunti, le ricerche, in cui la stampa da computer e il cut and paste sono tassativamente vietati! Un foglio bianco da riempire con i pensieri usciti dalla propria testa. Una ricerca come si usava quando ero bambino, che implica leggere un testo, CAPIRLO, e riassumerlo con parole proprie. Comprensione e sintesi, ovvero il nocciolo del metodo scientifico! Se non si fa questo esercizio con un testo in lingua italiana, imparando a comprenderlo e sintetizzarlo, come si può pretendere di apprezzare i risvolti e le implicazioni nascoste delle trasformazioni di Lorentz o della legge di Lenz?

E quindi un suggerimento: basta con queste schede precompilate, dove se vuoi scrivere qualcosa hai al massimo due righe di spazio, basta con le risposte multiple, le crocette e le fotocopie, che se c'è un responsabile della deforestazione globale è la scuola italiana dell'obbligo. Basta con le verifiche solo scritte, di materie tradizionalmente orali. Riscopriamo le interrogazioni, dove se non sai parlare o se usi parole scelte a caso lo capisci anche tu sul momento, e non solo perché la prof te lo ha segnato in rosso.  Imparare a porsi in modo critico di fronte alle cose, che è poi l'ingrediente alla base della cultura scientifica, alla fine non è poi un'impresa così difficile.





domenica 6 novembre 2016

Cercare le stanze segrete delle piramidi con i raggi cosmici


Una delle tante ricadute pratiche della ricerca di base


E' notizia recente la scoperta di ampie zone vuote, finora sconosciute, all'interno della grande piramide di Cheope, che potrebbero indicare la presenza di ulteriori stanze di cui si ignorava la presenza. Scoperte simili sono state recentemente effettuate anche su altre piramidi egizie (fonte). Qaalche giorno fa la notizia ufficiale, pubblicata sulla rivista Nature: esiste una zona vuota, lunga almeno 30 metri, all'interno della Grande Piramide, il cui contenuto è del tutto sconosciuto. E' una delle più importanti scoperte dell'Egittologia moderna.

A parte scatenare la reazione entusiasta e scontata degli ufologi e di tutti i fanatici del mistero, per i quali le piramidi rappresentano la summa di tutte le credenze strampalate di qualunque tipo, e per i quali una stanza ancora inesplorata al loro interno nasconde senz'altro le incredibili tecnologie che gli alieni notoriamente regalavano agli egizi (senza che questi poi le usassero), la cosa interessante è il modo in cui queste scoperte sono state effettuate.

Dato che non è propriamente agevole smontare una piramide e guardare cosa c'è dentro (anche perché poi, una volta smontata, c'è il rischio che passi la voglia di rimontarla o finiscano i fondi dai finanziatori, e va a finire che si lasciano tutti i pezzi in giro, come i bambini quando hanno finito di giocare, che poi la mamma si arrabbia) è stato necessario utilizzare tecniche che permettono di radiografarne l'interno. 

In particolare, tra i vari sistemi utilizzati, c'è la "radiografia a muoni", una tecnica mutuata dalla fisica delle particelle elementari, applicata in questo caso per scrutare l'interno di una struttura di pietra altrimenti inaccessibile.


I muoni sono particelle subnucleari del tutto simili agli elettroni, ma circa 200 volte più pesanti, e sono prodotti in abbondanza dai raggi cosmici. Essi ci piovono costantemente addosso, anche in questo momento, e attraversano noi, le pareti della nostra casa, e a volte anche chilometri di roccia. Tanto per dare un'idea, al livello del mare mediamente 100 muoni al minuto colpiscono una superficie di un metro quadrato.

Questi muoni sono prodotti quando i protoni dei raggi cosmici primari, provenienti da sorgenti astrofisiche di vario tipo, dopo un viaggio indisturbato di svariate migliaia di anni luce incontrano gli strati alti dell'atmosfera terrestre. A questo punto essi urtano contro i nuclei degli atomi che trovano lungo la loro traiettoria, e in ognuno di questi urti si producono cascate di particelle secondarie, attraverso processi che i fisici delle particelle studiano da decenni. Tra le varie particelle che saltano fuori in questi urti, che avvengono continuamente nella nostra atmosfera, sono prodotti anche i muoni, che a questo punto non possono fare altro che pioverci addosso.

Essi, essendo dotati di carica elettrica, quando attraversano uno spessore di materia ionizzano gli atomi che incontrano durante il loro percorso, perdendo quindi un po' della loro energia ad ogni atomo a cui tirano fuori un elettrone. Tuttavia, proprio la loro massa relativamente elevata, unito al fatto che non risentono dell'interazione nucleare, fa sì che essi perdano energia soltanto a causa della ionizzazione che inducono, senza essere bruscamente arrestati (questo è vero se i muoni non sono esageratamente energetici).

Il risultato di tutte queste considerazioni sul comportamento dei muoni quando attraversano la materia è che essi, man mano che attraversano uno spessore di materia come in questo caso la pietra, perdono energia in modo graduale ionizzando gli atomi del materiale stesso, fino a che non hanno più energia e si fermano. E siccome la perdita di energia dei muoni causata dalla ionizzazione è relativamente piccola rispetto alle energie tipiche dei muoni dei raggi cosmici, e comunque ben nota per i vari tipi di materiale (pietra, ferro, aria, acqua etc), il risultato è che essi sono capaci di attraversare grandi spessori di materia prima di fermarsi. Quelli più energetici attraverseranno spessori maggiori, che possono essere anche svariati chilometri di roccia, quelli di energia inferiore si arresteranno prima.

E quindi come si fa a usare i muoni per guardare dentro una piramide?

Ci si mette all'ombra dietro una faccia della piramide con appositi apparati di misura che sono capaci di identificare l'arrivo dei muoni e misurarne la loro direzione, e si registra quanti muoni arrivano dopo essere passati attraverso la piramide stessa e da che direzione arrivano. E poi ci si sposta attorno alla piramide, per fare la stessa misura con i muoni provenienti da direzioni diverse, faccia per faccia.

Per una piramide "uniformemente piena" ci si aspetta che i muoni che passano dopo averla attraversata diminuiscano in modo uniforme, compatibile con la forma della piramide e con la densità della pietra, fattore da cui dipende l'assorbimento dei muoni.

A questo punto però, se all'interno della piramide esiste una stanza vuota, un buco sufficientemente grande, si osserveranno direzioni dalle quali il flusso di muoni passanti è maggiore del previsto, perché in quelle zone c'è meno materia in grado di assorbirli.


Quindi se si osserva una zona in cui il numero dei muoni passanti è alto in maniera anomala, allora vuol dire che lì c'è un buco, una cavità dove i muoni non trovano ostacolo nel loro percorso, e quindi arrivano in maggiore quantità rispetto a quanto ci si aspetterebbe da una piramide uniformemente piena. Semplice no?

La radiografia a muoni è una delle innumerevoli applicazioni pratiche della ricerca di base. Fenomeni inizialmente studiati per la fisica delle particelle, oggi sono applicati a settori completamente diversi, come in questo caso all'archeologia.

Un'altra applicazione interessante della radiografia a muoni è quella di studiare l'interno dei vulcani, come ad esempio il Vesuvio. Conoscere l'interno di un vulcano esplosivo come il Vesuvio è importante non soltanto per motivi accademici, ma anche strettamente pratici, vista la zona ad altissimo rischio in cui si trova. Maggiori dettagli su come si può studiare in maniera indiretta l'interno del Vesuvio, sia tramite i muoni che attraverso altre tecniche, possono essere trovati qui.


martedì 1 novembre 2016

Ciarlatani che diventano "professori"

La non-ricerca delle fonti da parte di certi giornalisti.


Con il recente terremoto che ha colpito la zona di Norcia, si ritorna per forza di cose a parlare di terremoti. E in queste occasioni si da voce agli esperti, che puntualmente vengono interpellati per sapere cosa ci si deve aspettare, se ci saranno altre scosse,  se possiamo stare tranquilli, e tutte le solite domande di rito del caso.  

Questa volta un tema molto sentito è stato il valore della magnitudo della scossa, che inizialmente era stata comunicata a 7.5, poi a 6.1, e infine a 6.5. Persone che fino a ieri ne storpiavano il termine, si sono sentite improvvisamente in dovere di questionare sull'importanza di sapere in tempo reale la magnitudo di un terremoto, manifestando sui social network tutto il loro disappunto sul fatto che nella prima mezz'ora dopo la scossa non ci fosse ancora chiarezza sul valore preciso di questa grandezza, la cui conoscenza esatta era per loro evidentemente determinante per poter affrontare con serenità la giornata.

Ad esempio la senatrice Enza Blundo, del M5S, balzata alle cronache per aver insinuato che la magnitudo vera fosse stata deliberatamente abbassata per non risarcire i terremotati, nel tentativo di chiarire la sua esternazione se ne è uscita con la frase (fonte):
"Ero nella mia casa al sesto piano nella frazione di Pettino e 7.1 di magnitudo mi sembrava abbastanza credibile. Poi sento che dicono 6.1. Premesso che so per certo che all’Aquila non era 5.8, mi sono detta: "Più evidente di così!"
Sembra che all'Ingv, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, impressionati da queste dichiarazioni, stiano addirittura pensando di sostituire tutte quelle costose apparecchiature con una batteria di senatori del M5S, che sono in grado di fornire tutti i dettagli sul sisma in tempo reale e che, autodecurtandosi lo stipendio, costano anche meno in manutenzione.

La cosa ha suscitato talmente tante discussioni, con annesse dietrologie del tipo "cosa ci staranno nascondendo", che l'Ingv ha dovuto emettere comunicati specifici per chiarire i termini della questione.

Che ti viene da dire che pensa te se l'Ingv, proprio in questo momento, deve passare il tempo a spiegare a gente che magari crede perfino che il terremoto sia causato dalle trivelle dell'Adriatico o dai neutrini che corrono dal Cern al Gran Sasso nel tunnel della Gelmini (fonte) che è assolutamente normale, direi ovvio, che l'intensità di una scossa sismica misurata online non sia una misura di assoluta precisione, e che è logico aspettarsi dei ritocchi dovuti all'integrazione di questa misura iniziale con misure e controlli più precisi, che per forza di cose sono ottenibili solo dopo un po' di tempo.

Comunque, in tutta questa frenesia nel contattare gli esperti, alcuni hanno pensato bene di contattare Giampaolo Giuliani, che per Leggo ha rilasciato questa intervista.

Innanzitutto chiariamo chi è Giampaolo Giuliani. Giuliani è un ex tecnico dell'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario (fonte), attualmente in pensione, che ha lavorato per un certo periodo presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Non era un ricercatore, né tanto meno professore, non essendo laureato in niente, e ai Laboratori del Gran Sasso era una specie di elettricista al servizio dei vari esperimenti. Non si è mai occupato professionalmente di geofisica, di geologia, o di sismologia, e non ha mai pubblicato nulla in materia su alcuna rivista scientifica peer review del settore, come normalmente fanno coloro che si occupano di ricerca scientifica. 

Tuttavia, a livello puramente personale, si interessava di terremoti, e ad un certo punto della sua presenza ai Laboratori del Gran Sasso si è messo a effettuare autonomamente alcune misure del livello di Radon presente nell'ambiente. Il Radon è un gas naturale che può abbondare nel sottosuolo (ad esempio nelle cantine), e è noto da molto tempo che emissioni di Radon possono essere associate a eventi sismici.  Sottolineo la parola chiave: "possono". 

Infatti le emissioni di Radon possono anche non essere associate a eventi sismici, ma non solo, gli eventi sismici possono anche non essere associati a emissioni di radon.  Come dire, tanto per capirci, che mangiare due porzioni di lasagne può essere associato a una indigestione, ma non è detto che se mangi due porzioni di lasagne avrai sicuramente una indigestione, e nemmeno che, se hai avuto una indigestione, allora hai sicuramente mangiato due porzioni di lasagne.

Tutte queste cose gli esperti di terremoti le sapevano da molto tempo, molto prima che Giuliani cominciasse a trappolare con i suoi rivelatori di Radon.  E sapevano anche - gli esperti - che proprio a causa di questa aleatorietà nelle emissioni di Radon, e nella mancanza di una chiara correlazione con i terremoti, (frutto di studi che gli esperti avevano già effettuato in quantità molto prima di Giuliani) il Radon non è un precursore affidabile. In parole povere se si osservano emissioni di Radon non vuol dire affatto che stia per avvenire un terremoto, e allo stesso tempo un terremoto spesso avviene senza che prima venga emesso alcun Radon.

Per cui avvisare la popolazione strombazzando che sta per avvenire un forte terremoto ogni volta che si osserva uno sbuffo anomalo di Radon è sostanzialmente da incoscienti, oltre che inutile. Se poi vogliamo parlare di cosa realmente implichi l'affermazione "prevedere i terremoti", questo articolo può rappresentare uno spunto di riflessione.

Giuliani è comunque balzato agli onori delle cronache perché si diceva che avesse previsto il terremoto dell'Aquila proprio in base alle emissioni di Radon. Ovviamente nessuno ha realmente controllato come erano andate le cose. Nessuno fra quelli che lo hanno intervistato e descritto come colui che, inascoltato, ha previsto il terremoto. Però si sa come vanno queste cose, e grazie allo scarso interesse nostrano per i fatti, da lì è stata tutta un'escalation, con la creazione di un sito web e di un profilo Facebook dedicato, fan che lo idolatrano come un santone, che lo invitano a non mollare e gli chiedono consigli e parole di incoraggiamento che lui dispensa come se fosse Sai Baba, per arrivare a Santoro che, in uno dei massimi momenti del giornalismo italiano assieme al plastico di Cogne, lo invita in diretta tv in qualità di esperto capace di prevedere i terremoti, osteggiato da quei soloni cattivi degli scienziati, ammuffiti cattedratici che studiano studiano e non capiscono niente (fonte).

Poco conta il fatto che la notizia di aver previsto il terremoto dell'Aquila fosse falsa: Giuliani infatti non aveva previsto alcun terremoto, come raccontato ad esempio qui. Non solo, ma tra le sue "previsioni" c'era anche una scossa di intensità distruttiva a Sulmona, mai verificatasi, che gli è costata anche un avviso di garanzia per procurato allarme.

Ma veniamo alla recente intervista rilasciata da Giuliani, dove l'illustre studioso viene ovviamente presentato come "il sismologo che nel 2009, inascoltato, aveva previsto il terremoto de L'Aquila". Nell'intervista il nostro studioso si lascia andare ad ardite affermazioni del tipo "non dormite in edifici danneggiati" e poi, sbilanciandosi oltremodo, ci fa sapere che "dobbiamo aspettare le prossime 24-48 ore, per capire. Potrebbe infatti verificarsi la scossa principale, fino a 7,5 gradi (i sismologi veri parlano di magnitudo e non direbbero mai "gradi" senza specificare quali) oppure potremmo registrare il decrescere di intensità (...) e poi via via a scemare".  Della serie "ce n'è per tutti, e qualunque cosa accadrà io l'avevo previsto".

E poi conclude con una frase meravigliosa, di altissimo profilo scientifico: "Sperando che poi non ne parta una nuova serie". Poteva aggiungere anche "con l'aiuto del Signore", già che c'era, per dare l'ultimo tocco di scientificità alle sue argomentazioni. Vi fidereste di un meteorologo che dicesse: "entro domani passerà la perturbazione. Poi speriamo che non ne arrivi un'altra"?

Peccato che solo due giorni prima su Facebook (il luogo dove tutti gli scienziati diramano i comunicati...) lo stesso Giuliani avesse scritto: 

"Sono trascorse le canoniche 48 ore dall’evento principale sviluppatosi sulla nuova struttura a Nord delle faglie Amatrice-Accumoli-Norcia. Possiamo quindi considerare l’accadimento di M. 5.9 come evento principale. Pertanto dobbiamo abituarci all’idea di una nuova attività di repliche che dovranno fare il loro corso"

L'insieme delle dichiarazioni contraddittorie di Giuliani, e il suo barcamenarsi su affermazioni generiche buone per tutte le occasioni, è ben riassunto qui.

L'intervista a Giuliani è stata comunque ripresa acriticamente anche da altre testate giornalistiche. Tra queste il Giornale, Libero, e anche il Corriere Adriatico, quotidiano a diffusione marchigiana. Se il Corriere Adriatico ad Ancona è soprannominato Il bugiardò, un motivo ci sarà pure!
 
Però io non ce l'ho con Giuliani. Lui alla fine interpreta la sua parte di furbacchione, come tutti i furbacchioni. Come Vannoni con Stamina, Gava coi vaccini, e come tutti i sedicenti esperti che esperti non sono, che si propongono al mondo come i Don Chisciotte osteggiati dal potere e ignorati dalla scienza ufficiale chiusa nella sua torre d'avorio. Non ce l'ho con lui.

Ce l'ho con quei giornalisti che se devono intervistare qualcuno che parli di terremoti non chiamano un ricercatore del settore (in questi giorni in tanti hanno parlato ai vari tg, e quindi trovarne uno non sarebbe stato difficile),  non chiamano un vero "professore" della materia, ma chiamano Giuliani. Ce l'ho con quei giornalisti che, in quanto tali, dovrebbero essere i primi ad avere a cuore l'affidabilità delle fonti, e che invece vanno a pescare uno totalmente privo di competenze perché si dice che è uno che ne capisce. D'altra parte l'ha detto la televisione! C'è scritto su internet! Uno con tutti quei followers su Facebook non può non capirne, no?

E poi mi fa sorridere quel chiamarlo "professore", anche se Giuliani non è mai stato professore di niente (e lui figuriamoci se li smentisce!). Mi ricorda i parcheggiatori abusivi, che chiamano tutti "dottore". Con la differenza che quelli sono consapevoli che non sei dottore, e quando ti chiamano così ti stanno sottilmente prendendo per il culo, mentre loro, quei giornalisti, ne sono convinti.



mercoledì 26 ottobre 2016

Un caso di poltergeist

Questo è il resoconto di un caso che si potrebbe definire di "Poltergeist" che ci è capitato di recente di "studiare" (molto virgolettato, e il perché sarà chiaro alla fine) in qualità di gruppo Cicap Emilia Romagna.

Il termine Poltergeist viene dal tedesco e significa "spirito rumoroso". Nei film di paura si manifesta tipicamente con oggetti che cadono, che si spostano da soli, porte che cigolano, televisori che si accendono nel pieno della notte, e fenomeni strani di vario tipo. Uno spirito un po' rompiballe, che evidentemente si annoia, e trova svago spaventando gli umani. Nei film ha in genere ragioni più che valide, del tipo che in vita era stato assassinato in quel luogo, e quindi si sfoga su chi ci vive nel presente. Misteri insondabili della psiche degli spiriti. Nella realtà invece c'è di solito una spiegazione più terra terra.

Recentemente siamo stati infatti contattati da una signora preoccupata per alcuni fenomeni strani che avvenivano in famiglia. Per fare un quadro della situazione,  la signora viveva con la figlia undicenne, si era da poco separata ma aveva un nuovo compagno. La figlia era inoltre in procinto di iscriversi alla prima media. Possono sembrare inutili dettagli da pettegolezzo, ma saranno invece importanti per comprendere la storia.

La bambina, a causa del lavoro della madre, era costretta a passare parecchio tempo a casa della nonna materna, casa in cui viveva anche il nonno malato e costretto costantemente a letto. Questo per inquadrare il contesto in cui si verificavano i fatti seguenti.

All'improvviso a casa della nonna, e sempre in presenza della bambina, cominciano ad avvenire fenomeni strani e apparentemente "inspiegabili". Il tutto ha inizio con una pozzanghera d'acqua che compare sul pavimento nel bel mezzo di una stanza. Si pensa a una perdita da qualche parte, magari un tubo rotto, ma l'idraulico, prontamente chiamato, non trova niente di anomalo. Asciugata la pozza, questa non si ripresenta.

Però un'altra pozza d'acqua compare a breve in un altro punto della casa. E poi su un mobile, e poi su un altro, e un altro ancora. Addirittura un giorno la tavola imbandita per il pranzo viene trovata completamente allagata.

Nel giro di due giorni c'è un'escalation, fino a trovare perfino pozze di detersivo rovesciate a terra e sui mobili.

A questo punto la signora in questione contatta i ghostbusters, cioè il Cicap, dicendo: "io a queste cose non ci credo però... vi prego aiutatemi!". 

Le viene chiesto, tra le varie domande, se il contenuto dei detersivi trovati sparsi sul pavimento e sulle varie superfici sia contemporaneamente diminuito all'interno del corrispettivi contenitori. La risposta è indicativa: i contenitori sono ormai quasi vuoti.

Segno che anche gli spiriti, se devono rovesciare un detersivo, non se lo portano dall'aldilà ma devono prenderlo da qualche parte sulla terra. E siccome di trafugarli alla Conad non se ne parla (suonerebbero all'uscita, perché anche volendo non potrebbero pagare alla cassa, essendo il circuito Mastercard-hell non riconosciuto dalle nostre parti), sono costretti a usare quelli che trovano nella casa che hanno deciso di infestare. Cosa che già da sola, diciamocelo, svilisce questa idea mitizzata che uno può avere degli spiriti maligni.

venerdì 21 ottobre 2016

La università che fanno trovare lavoro


Ma funziona veramente così?

Leggo un articolo di Stefano Feltri su Il Fatto Quotidiano, che si intitola "Università, ora è ufficiale, alcune lauree sono inutili". Esso fa seguito a un precedente articolo dello stesso autore di circa un anno fa, intitolato "Università, studiate quello che vi pare ma poi sono fatti vostri", in cui sostanzialmente si affermava che con alcune lauree si trova lavoro più facilmente che con altre, e quindi chi si iscrivere a corsi di laurea che "non tirano" lo fa a suo rischio e pericolo. Il recente articolo, che riprende questa tesi, è supportato da una recente indagine dell'Istat che indica come i laureati in Ingegneria, Medicina e in "Difesa e Sicurezza" (?!) trovino lavoro più facilmente che i laureati in altre discipline, in particolare quelle umanistiche. La conclusione è che iscriversi a certi corsi di laurea non solo è inutile, ma addirittura dannoso, visto che alla fine costituiscono solo una perdita di tempo.

Tanto per cominciare, anche se questa è una parentesi in ciò che voglio dire, non avevo idea di cosa fosse la laurea in Difesa e Sicurezza. Secondo la statistica dell'Istat, il 99,4% dei laureati in questa disciplina trova lavoro! Praticamente tutti meno qualche sfigato, verrebbe da dire! E ci tengono nascosto un simile paese del Bengodi!? Poi cercando in rete ho scoperto (fonte) che in "Scienze della difesa e della sicurezza" (ci sono 3 sedi in tutta Italia: Modena, Torino e Enna):

"I laureati sono professionisti, militari o civili, dotati della preparazione culturale (umanistica, socio-politologica, scientifica e tecnologica) e dell'addestramento teorico-pratico adeguati per operare con incarichi di comando, di gestione e di coordinamento (amministrativo, logistico e tecnico-operativo)"

E' una laurea per "professionisti", che in italiano significa che lo fanno per lavoro, e quindi normalmente GIA' lavorano, come militari o come civili. E' una laurea che è frequentata principalmente da chi fa l'Accademia Militare o di Polizia. Quindi un laureato in Difesa e Sicurezza trova lavoro perché fa l'Accademia dell'Esercito e fa il militare di professione, o il carabiniere, o il poliziotto, e non perché la Laurea in Difesa e Sicurezza garantisca sicura occupazione a prescindere. Da cui quel 99,4% di laureati-occupati, talmente alto da dover far nascere un sospetto a chiunque. Un esempio perfetto di come si prendano in modo totalmente acritico le notizie che ci arrivano, senza ragionarci un attimo sopra, e le si ripropongano al pubblico a cervello rigorosamente spento.

Ma a parte questo, è certamente vero che è più facile trovare lavoro se si è laureati in ingegneria piuttosto che in filosofia. Non ne ho il minimo dubbio. Se Feltri si fermasse qui sarei d'accordo, perché starebbe asserendo una quasi ovvietà.

La cosa su cui invece trovo il discorso delirante è che, in base al fatto che si trova più lavoro con ingegneria piuttosto che con filosofia, sarebbe meglio scegliere ingegneria (o una delle facoltà con cui si trova più facilmente lavoro) invece che filosofia (o una delle facoltà con cui si trova più difficilmente lavoro). E trovo irritante che in qualche modo l'autore dell'articolo voglia colpevolizzare chi non fa questa scelta come a dire "bravo coglione! hai voluto fare lettere invece che ingegneria, lo sapevi che non si trovava lavoro, adesso non ti lamentare!"

E invece la domanda che bisognerebbe porsi, quella che Feltri si sarebbe dovuto porre, è: quel laureato in lettere e filosofia che adesso è disoccupato, se invece di iscriversi a lettere e filosofia si fosse iscritto a ingegneria, adesso cosa farebbe? Si sarebbe laureato brillantemente e adesso lavorerebbe, o è più facile che avrebbe abbandonato gli studi perché a lui le materie che si studiano a ingegneria non piacciono e non interessano?

Feltri ragiona come se la scelta dell'università fosse uguale a scegliere un paio di scarpe. Non mi piacciono moltissimo, anzi, per dirla tutta non mi piacciono proprio, ma durano di più... tengono l'acqua... e quindi alla lunga è un acquisto che ripaga! E quindi la mia passione sarebbero i testi dei classici greci, ma siccome con quelli non ci si trova lavoro mi metto a studiare i carichi delle travi portanti o l'asportazione della cistifellea. Tanto più o meno siamo lì come argomento, no? Uno vale l'altro! Come se si potesse così, tranquillamente, mettere in secondo piano le inclinazioni, le attitudini di ognuno, e potessimo ignorare ciò che ci piace ma soprattutto, udite udite, ciò che non ci piace!

Sì perché se ti piace Leopardi e non sei portato per la matematica, non è che puoi chiedere un cervello di ricambio perché con Leopardi non trovi lavoro! Hai questa sfiga, e devi conviverci! Colpa di quei libri che ti appassionavano fin da piccolo, magari, che se sapevi ti mettevi a studiare i cataloghi di condensatori e resistenze, invece di leggerti Anna Karenina, ma ormai cosa ci puoi fare? 

Infatti per fare ingegneria, o medicina (lasciamo stare Difesa e Sicurezza perché abbiamo capito che è una puttanata dire che ci si trova lavoro) ti deve piacere un certo tipo di studi. Non diventi medico se ti fa impressione il sangue, o se di studiarti 7000 pagine di nomi di malattie, ghiandole e principi attivi è ultima tua vocazione nella vita. E se al liceo matematica e fisica proprio le detestavi e invece scrivevi da dio e traducevi Seneca online, non è che puoi improvvisarti studente di ingegneria solo perché poi si trova lavoro.
E ovviamente sarebbe anche vero il contrario se si trovasse lavoro con filosofia più che con ingegneria: non ci si improvvisa appassionati di Hegel se la propria vocazione è fare l'ingegnere aerospaziale.

Se non ti piacciono certe materie, gli studi universitari diventano una pena! Se non ti piacciono le materie che si studiano a ingegneria, col cavolo che ti ci laurei! Non te le fai piacere come ti fai piacere un paio di scarpe! Fai una fatica bestia, e è molto probabile che a un certo punto gliela dai su. E comunque, metti pure che ci riesci, sarai probabilmente un modesto ingegnere di modeste capacità, e tutti quelli bravi ti passeranno avanti. Tutti quelli che avevano la passione per quel tipo di studi.

Questa idea che, siccome i laureati in certi corsi di laurea trovano posto più facilmente, allora conviene studiare quei corsi di laurea, è una emerita sciocchezza, perché non tiene conto delle attitudini individuali, che sono invece determinati per conseguire quelle lauree.

E poi, lasciatemi dire, a costo di apparire retorico, che esistono anche i sogni. Sì, quelle cose che quando hai 18 anni e ti immagini adulto, ti vedi a fare un lavoro che in quel momento senti essere il TUO lavoro, quello per cui sei stato proggettato. Certo, lo sai che sarà quasi impossibile, la parte razionale del tuo cervello te lo continua a ripetere che è molto probabile che prenderai una sprangata sui denti, ma per te quell'idea è talmente importante che ci vuoi credere, e sai che farai tutto il possibile per realizzarlo. E siccome è un sogno, sei certo che lo realizzerai.

I sogni sono un ingrediente essenziale per orientare la propria vita. Sono, oserei dire, il motore della vita. Quello che ti spinge a fare le cose, a trovare la grinta, a superare le difficoltà. Andrebbero incoraggiati, invece che soppressi. Certo, poi si resta spesso scornati, ma avere un sogno (senza voler somigliare a Briatore, o a Crozza che imita Briatore) è fondamentale. "I've got to follow that dream, wherever that dream may lead", cantava Elvis, e accidenti se aveva ragione!

Sì perché io a 18 anni avevo un sogno, quello di diventare uno "scienziato". Volevo diventare un fisico e fare il lavoro del fisico. Sapevo che non era facile, ma nella mia mente sognatrice e ingenua non avevo dubbi che ce l'avrei fatta. E' proprio il potere dei sogni, no? Non si chiamerebbero così, altrimenti! Il potere di farti credere che anche lo cose razionalmente molto difficili possono diventare vere se veramente lo vuoi. E se avessi dato retta al posto facile e all'Istat, probabilmente avrei scelto qualcosa di diverso da Fisica, magari Economia e Commercio, come si chiamava allora, anche se di studiare quella roba non me ne poteva fregare di meno, e forse alla fine mi sarei pure laureato,  e poi magari sarei andato a lavorare in banca o chissà cosa, incrementando di uno la statistica degli occupati per quel corso di laurea.

Per fortuna non l'ho fatto.



lunedì 10 ottobre 2016

Bruno Vespa guardato allo specchio è ancora un Bruno Vespa possibile?

Simmetrie e leggi della natura


Ai fisici piacciono le simmetrie. Una simmetria è un'operazione che lascia invariato qualcosa. Ad esempio una farfalla è simmetrica rispetto al suo asse. Se scambiamo destra con sinistra, la farfalla resta identica, e non riusciamo a distinguerla da quella di prima. Un vaso ha un asse di simmetria: ruotandolo attorno a questo asse la forma del vaso resta identica. E così via, di esempi ce ne sono in quantità.

Le simmetrie piacciono ai fisici quando riguardano le leggi della natura. Ci sono alcune operazioni matematiche che non cambiano le espressioni delle leggi fisiche. Ad esempio le leggi della fisica non cambiano se decidiamo di misurare il tempo cambiando lo zero di riferimento con cui lo misuriamo. Nelle formule della fisica non compare mai un riferimento assoluto di tempo, e questo significa che le leggi della natura non cambiano con lo scorrere del tempo. La F=ma, ad esempio, resta sempre F=ma, oggi come domani come fra un milione di anni, perché in essa intervengono soltanto variazioni di tempo, che rimangono inalterate qualunque sia il nostro tempo zero.

Può sembrare una banalità, ma ai fisici piace questa cosa perché esiste un teorema che dice sostanzialmente che se un qualche tipo di operazione (in questo caso una "traslazione temporale") lascia invariata la forma delle leggi della natura, allora esiste una quantità fisica che si conserva, cioè che non cambia durante l'evoluzione del sistema considerato. Nel caso specifico del tempo la quantità che resta conservata è l'energia.

Bello vero? L'energia, quella cosa che in tanti credono di poter creare dal nulla con macchine astruse mettendo poi il filmato su youtube e dicendo che non ce lo vogliono far sapere (con una dozzina di punti esclamativi) è conservata da un principio fisico fondamentale legato sostanzialmente alle proprietà dello spazio e del tempo.

E allo stesso modo le traslazioni spaziali non cambiano le leggi della fisica, (qui o a New York o su Plutone le leggi della fisica si scrivono allo stesso modo) e come conseguenza abbiamo la conservazione dell'impulso (detto anche quantità di moto), altro caposaldo della nostra conoscenza della natura. E anche le rotazioni delle coordinate attorno a un qualunque asse scelto a caso non cambiano la formulazione delle leggi fisiche, e questo ci garantisce la conservazione del momento angolare, quella cosa che le pattinatrici conoscono bene quando, raccogliendo le braccia attorno al corpo, si mettono automaticamente a ruotare più veloci. E' il momento angolare che si conserva, grazie al fatto che le leggi della natura sono "isotrope", cioè non dipendono da una direzione assoluta di riferimento.

Tra le varie operazioni matematiche che uno può immaginare c'è l'inversione delle coordinate spaziali. Questa operazione si chiama in gergo tecnico "operazione di parità". Ogni punto dello spazio è identificato da tre coordinate spaziali, x, y e z. Domanda: scambiare x con -x, y con -y e z con -z cambierebbe le leggi della natura? Se all'improvviso invertissimo tutte le coordinate delle posizioni di tutto ciò che osserviamo, le formule delle leggi fisiche ne risentirebbero? Cambierebbero le formule? Dovremmo usare libri di fisica diversi a seconda della convenzione che usiamo?

Intuitivamente ci verrebbe da dire di no: nell'universo non esistono un alto e un basso assoluti, così come una sinistra o una destra, o un davanti e dietro. E' sempre una questione di convenzione, e una convenzione non può influire sulle leggi della natura.

Però le particelle fondamentali, come ad esempio gli elettroni, hanno una caratteristica detta "spin". Ruotano, per così dire, anche se non è una vera rotazione come quella di una trottola.

Quindi supponiamo di avere un elettrone che si muove nello spazio. La riflessione delle coordinate, cioè l'operazione di parità, non cambia il suo verso di rotazione, mentre, al contrario, ne inverte la direzione del moto.  In sostanza si può dire che l'operazione di parità inverte la direzione del moto di una particella rispetto alla direzione del suo spin.

L'inversione delle coordinate spaziali, cioè l'operazione di parità, a guardarla bene, equivale a una rotazione seguita da una riflessione speculare. Siccome sappiamo già che una rotazione non cambia le leggi della fisica, chiederci se l'operazione di parità cambia le leggi della fisica si riduce a rispondere alla domanda: una riflessione speculare cambia le leggi della fisica?

Cosa vuol dire in pratica questa domanda? Cosa vuol dire chiedersi se le leggi fisiche cambiano di espressione quando effettuiamo una trasformazione, che nel nostro caso è un'inversione speculare?  

venerdì 7 ottobre 2016

Confondere intrattenimento con giornalismo

C'è chi crede che Le Iene facciano giornalismo di inchiesta.


E' notizia recente dell'intervista de Le Iene a Eleonora Brigliadori, ex presentatrice tv e personaggio dello spettacolo, oggi convinta sostenitrice della "terapia" Hamer contro il cancro. Il virgolettato è perché la "terapia" afferma cose del tipo che se hai un tumore la causa è in qualche tuo trauma passato che non hai metabolizzato. Tipo che se hai un cancro alle ossa è perché a ginnastica alle elementari ti prendevano in giro perché non sapevi fare la capriola, o cose del genere. Quindi l'ex presentatrice, forte delle sue convinzioni, afferma ai microfoni de Le Iene che la chemioterapia e le altre terapie convenzionali non servono, anzi sono dannose, perché per guarire dal cancro basta stare bene con se stessi e curare i traumi psicologici. Curati i traumi psicologici il cancro sparisce così come è venuto. Suppongo che le stesse cose avrebbe il coraggio di dirle anche ai genitori di bambini di un anno con la leucemia, cioè che i loro figli hanno il cancro per colpa dei traumi passati!


Ma a parte i deliri della Brigliadori e di quelli come lei (ce ne sono troppi, purtroppo, non molti ma comunque troppi), deliri che non vale neanche la pena di confutare, perché si rischierebbe di dare loro un minimo di autorevolezza che proprio non meritano, la cosa che mi lascia perplesso è il plauso che tanti tributano al programma Le Iene per questa coraggiosa intervista. Lo stesso programma che aveva "svelato" all'opinione pubblica anche i vaneggiamenti della Dottoressa Mereu (finalmente radiata dall'albo), che sostiene anche lei di abbandonare le terapie ufficiali, qualunque sia la malattia, e fare cose del tipo infilarsi una medaglietta della Madonna in vagina (questo se donna; se uomo non specifica l'alternativa). Quella Dottoressa Mereu che viene osannata acriticamente da una corte di sostenitori senza-se-e-senza-ma, anche questa per fortuna limitata ma in ogni caso troppo ampia, considerate le assurdità che questo (ex) medico dice.

Le Iene sono lo stesso programma, però, che aveva portato alla ribalta anche il caso Stamina, glorificando questa volta il suo promulgatore, tale Davide Vannoni, laureato in Scienza della Comunicazione, il quale sosteneva di curare con infusioni di non ben identificate cellule staminali cose ritenute dalla medicina ufficiale inguaribili come la Sclerosi Laterale Amiotrofica, una malattia neurodegenerativa che porta velocemente all' impossibilità di movimento, di respirazione, e infine alla morte. Le Iene, che hanno deriso la Brigliadori e le sue esternazioni in campo medico, sono lo stesso programma che aveva tranquillamente ignorato il parere degli esperti sulla non esistenza di terapie efficaci contro la SLA, e sulla certa non affidabilità scientifica della cura proposta (a caro prezzo, decine di migliaia di euro a trattamento) da Vannoni. Lo stesso programma che aveva spacciato Vannoni come eroe solitario contro la saccenza autoocelebrativa della scienza ufficiale. Lo stesso programma che aveva alimentato per puro calcolo di profitto (la cara, vecchia audience) le speranze, poi rivelatesi vane, dei familiari di pazienti, che erano scesi in piazza proclamando Vannoni come il Don Chisciotte del momento.

Sì perché bisogna dire questa cosa molto chiaramente: alcuni credono che Le Iene facciano giornalismo di inchiesta, ma invece sono semplicemente un programma di intrattenimento come mille altri, attento unicamente all'audience. E quindi, strizzando l'occhio agli ascolti, gli autori del programma hanno gioco facile con scocomerate come la Mereu o la Brigliadori. Non si va controcorrente a dare addosso a una che ti dice che se vuoi guarire dal diabete devi smettere l'insulina e metterti un santino nel culo! Non ci vuole coraggio, non si va contro il sentimento nazionalpopolare degli italiani, né si sfidano poteri intoccabili. E soprattutto non c'è il pericolo di inimicarsi la "gggente", né di andare a toccare i sentimenti della massa. In particolare quella massa che guarda la tv.

Ben diverso invece è andare a dire ai genitori di bambini che la scienza giudica al momento incurabili, che i loro figli sono effettivamente incurabili, e che quel santone che millanta terapie miracolose (a caro prezzo) li sta illudendo, e in pratica truffando. E' molto più difficile in questo caso andare contro chi promette di alleviare il dolore, di dare una speranza, dicendo come effettivamente stanno le cose. E' sicuramente impopolare dire a un genitore, che vede nel movimento semi-involontario del figlio dopo il trattamento di Vannoni una speranza per suo figlio, che quel movimento ci sarebbe stato probabilmente comunque anche senza terapia, e che Vannoni se ne sta approfittando per fargli credere quello che non sarà. Se lo si facesse si direbbe la verità, ma si apparirebbe impopolari, cinici e insensibili alle tragedie altrui, e quindi si perderebbe audience, che è l'unica cosa che interessa a programmi del genere.